I dati di 7,7 milioni di persone racchiusi in dei cavi che passano al di sotto degli oceani, chilometri e chilometri nelle mani di Stati Uniti, Cine e Russia e dei quali l’Europa non può invece disporre a piacimento, spaventata piuttosto dalla possibilità di blackout e possibili furti. Vere e proprie autostrade subacquee la cui proprietà è infatti di chi le posa, mentre a occuparsi della gestione è chi fornisce i flussi di informazione, ovvero le compagnie elettriche e telefoniche.
Tagliandoli, si metterebbe in crisi il sistema informatico di interi Paesi, bloccando aspetti oggi imprescindibili come la fornitura di energia o i sistemi di informazioni di dati sensibili, quelli che per esempio dei ministeri. Oppure i pagamenti elettronici. Eventualità che spaventa i governi, tanto che gli Stati Uniti hanno recentemente detto no, almeno momentaneamente, alla realizzazione del Pacific Light Cable Network, un cavo di 12.800 chilometri che avrebbe collegato, al di sotto della superficie, Los Angeles e Hong Kong. Il tutto mentre la Cina, di contro, ha steso miliardi di chilometri di fibra ottica e pesa ora per il 60% della domanda globale.
A spaventare gli Stati Uniti è il recente cambio di paradigma: prima la neutralità delle connessioni era garantita dal fatto che a realizzare le infrastrutture erano società private occidentali o consorzi internazionali, ora è Pechino a occuparsene con un modello statalista e con interessi in comune con i colossi del web americani. L’amministrazione Trump, in ritardo sugli investimenti, guarda a questo quadro con grande sospetto. Anche perché proprio la Cina ha da poco costruito altri 6 mila chilometri di fibra tra Brasile e Camerun. Anche Mosca, da par suo, è estremamente attiva.
Una sorta di guerra sotterranea, insomma, nella quale a rischiare di perderci è l’Europa: in caso Cina, Usa o Russia decisero di bloccare uno dei cavi sottomarini, il Vecchio Continente potrebbe trovarsi addirittura nel bel mezzo di un blackout. Manca al momento un server sotto la giurisdizione Ue che permetta di escludere una simile eventualità. La nuova presidente Ue Ursula von der Leyen aveva messo tra le priorità in agenda proprio quella della “sovranità digitale”. Al momento, però, nessun passo avanti è stato fatto in questa direzione, e anche le singole aziende si muovono in maniera completamente autonoma.
Ti potrebbe interessare anche: https://www.ilparagone.it/economia/lfmi-torniam-agli-anni-venti-si-rischia-una-nuova-grande-depressione/