Giuseppe Conte non chiede scusa, non ha rimorsi, disconosce qualsiasi forma di pensiero critico da rivolgere verso sé stesso. In un’intervista al quotidiano spagnolo El Paìs, il premier ha detto che sarebbe pronto a rifare ogni singolo passaggio della gestione di questa crisi, che pure ha messo in ginocchio l’Italia più di ogni altro Paese del Vecchio Continente. Della serie: se qualche errore c’è stato durante le prime settimane di emergenza, non è certo imputabile a me. Cercate altrove.
Al presidente del Consiglio non interessa che un’altra illustre testata, il New York Times, abbia nel frattempo stilato in queste ore una lista degli sbagli commessi dall’Italia nella fase iniziale della crisi, indirizzandola a Trump con l’invito a far di meglio. Lui è convinto di non essere mai caduto in fallo, nemmeno per un momento. E di aver gestito al meglio una situazione che pure mette in mostra numeri agghiaccianti: 105 mila persone contagiate, con oltre 12 mila decessi già accertati. Il tutto un mese dopo che lo stesso Conte, mentre dalla Cina arrivavano forti campanelli d’allarme, si era presentato ai microfoni di Lili Gruber a La7 assicurando: “Il governo è prontissimo ad affrontare l’emergenza”.
No, Conte di guardare indietro e ragionare su quanto fatto e quanto si sarebbe potuto fare meglio non vuole sentirne parlare. E questo è l’elemento che più spaventa della sua figura: l’autocritica, strumento fondamentale per migliorare, è una perfetta sconosciuta dalle parti di Palazzo Chigi. E con la crisi che rischia di prolungarsi ancora parecchio, questo non è propriamente un buon segnale. Evidentemente il premier, infallibile per sua stessa definizione, considera anche sufficienti le misure economiche fin qui adottate, una miseria che ha fatto schizzare alle stelle la tensione in diverse città italiane mentre il resto del mondo metteva mano a ogni risorsa disponibile per iniettare fiducia nelle case dei cittadini terrorizzati tanto dall’emergenza sanitaria quanto dalle sue inevitabili conseguenze economiche.
I colpevoli vanno sempre e comunque cercati altrove. I sindaci, l’Europa, le contingenze. Conte no, Conte mai. Il premier continua spedito costruendo la sua personalissima narrazione dei fatti, nella speranza che quando tutto questo sarà finito la gente conservi un ricordo tale da permettergli di imporsi come leader di un futuro schieramento politico, sicuramente di area cattolica-moderata. Poi forse, chissà, verrà anche il giorno di chiedersi se questi momenti concitati siano davvero stati gestiti in maniera così perfetta.
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