C’è un’Italia dipinta, quella raccontata dal premier Conte e dagli esponenti del governo giallorosso pronta a rialzare la testa grazie agli interventi varati dallo stesso esecutivo (della serie, “me la canto e me la suono”) e ai soldi in arrivo dall’Europa. E ce n’è un’altra, reale, alle prese invece con dati allarmanti e con problemi strutturali che rischiano di essere esasperati da una crisi senza precedenti. A partire da un mercato del lavoro precario, fatto di contratti e contrattini, potenziale ostacolo lungo la difficile strada della ripresa. Lo ha evidenziato bene l’ultimo dossier pubblicato dall’Istat: gli occupati a termine nel nostro Paese erano 2,2 milioni del 2007, saliti a 3 nel 2019.
Con l’arrivo dell’emergenza sanitaria, il numero di occupati a termine si è ridotto fino a 2,6 milioni. E proprio in quella categoria, però, la crisi ha picchiato più forte: il calo dell’occupazione ha interessato per due terzi proprio questo tipo di figure e per il rimanente terzo gli autonomi. Un fronte sul quale il governo ha tentato di intervenire a modo suo, allentando i vincoli del Decreto Dignità e consentendo alle imprese di rinnovare i contratti a termine senza indicare la causale anche dopo i primi 12 mesi, fino al 31 agosto. Servirà, le stime pubblicate da Repubblica dicono che la risposta con tutta probabilità è no.
Il Decreto Dignità di cui Luigi Di Maio aveva fatto ripetutamente vanto, sostenendone la portata rivoluzionaria, aveva portato a una stretta su rinnovi e proroghe dei contratti a termine. Con l’obbligo da parte delle aziende di specificare la causale dopo i primi 12 mesi: in caso contrario il contratto sarebbe stato convertito in tempo indeterminato. Il costo dei contratti a tempo era inoltre stato aumentato. Le conseguenze, però, non si erano viste: gli occupati a termine a luglio 2018 erano 3 milioni e 38 mila e a dicembre erano rimasti pressoché invariati (3 milioni e 4 mila). Al netto di un aumento di trasformazioni, insomma, gli stravolgimenti annunciati erano rimasti soltanto su carta.
L’unico passo avanti che è stato registrato dall’introduzione del Decreto Dignità è infatti un’accelerazione verso la regolarizzazione di quei contratti su cui comunque si era già deciso di mettere mano. Chi stava per allontanarsi dal precariato, insomma, ha visto l’iter prendere di colpo velocità. Per gli altri, però, le novità sono state pressoché inesistenti. Con la scomparsa dei voucher sono poi aumentati contratti di somministrazione e intermittenti o a chiamata. Il segnale di un problema strutturale del Paese che la crisi ha evidenziato in maniera fortissima. Mentre il governo continua a parlare di un’Italia che, semplicemente, non c’è.
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