I rifiuti nucleari americani pagati con le nostre bollette
L’Italia uscita sconfitta dalla II G.M. Non poteva avere il nucleare, figuriamoci quello a scopo bellico. Ma dopo il piano Marshal, l’ingresso nella NATO e nella sfera di influenza americana arrivò il permesso atlantico ad avere almeno un nucleare civile made in Italy.
L’Italia nonostante la sua tradizione di grandi cervelli nella fisica dell’atomo impiegò in realtà per la maggior parte tecnologie americane e britanniche e così colonizzare anche la nostra industria energetica, già all’epoca venne imposto il petrolio americano, danneggiato il nostro settore idroelettrico, tra i più avanzati dell’epoca, ed anche il nucleare italiano venne diretto da fuori confine.
Piemonte e Lombardia guidano la classifica per numero di siti da smantellare, poi vi sono siti secondari che contengono scorie di lavorazione contaminate dalla nuvola di Chernobyl, con svariati siti industriali dismessi collocati sempre tra Lombardia e Veneto.
Nella maggior parte dei casi i siti nucleari sorgono su importanti falde acquifere e quindi anche territori di pregio agricolo e ricchi di acqua, come il vercellese, l’agro pontino, ed il metapontino che già dagli anni ’60 del secolo scorso vennero sacrificati all’altare del nucleare.
La colonizzazione americana l’ha pagata anche la tranquilla ed isolata campagna lucana, il Metapontino, la California del Sud come la definivano ai tempi della Cassa de Mezzogiorno. In Trisaia, agro di Rotondella, nella campagne “oasi Plasmon”, patria del biologico, la DC e gli USA portarono le barre uranio-torio di Elk River, barre di combustibile nucleare il cui stoccaggio in piscina lo paghiamo oggi con la bolletta della corrente elettrica. Una componente della bolletta, la A2, finanzia direttamente con miliardi di euro annui, lo smantellamento del nucleare italiano. Con oltre 120 meuro paghiamo anche i premi ai dirigenti Sogin che da sempre non raggiungono gli obiettivi. Nonostante la storia travagliata dell’atomo italiano a stelle & strisce, il conto salato da pagare è rimasto, e non solo in termini ambientali o territoriali/urbanistici, ma soprattutto dal punto di vista economico. Sogin, la società di stato incaricata dello smantellamento, colleziona inchieste, perquisizioni, ritardi e diseconomie oltre ad un bilancio medio annuale di oltre 120 meuro. Attiva in numerose commesse estere, per lo smantellamento di centrali e sottomarini esteri, russi inclusi, in Italia brilla per rinvii, inefficienze e scarsa trasparenza, come accade in Basilicata da decenni.
Un intero centro, come quello della Trisaia, sopravvive perchè gli USA rifiutano di riprendersi le loro obsolete barre di uranio-torio, e noi italiani non siamo neanche padroni di sbarazzarcene con un bando internazionale visto che altre nazioni potrebbero ancora essere interessate a questa tecnologia ma su di essa vige il veto americano. Parliamo di te una tecnologia di mezzo secolo fa! Meglio tenere in ostaggio un territorio, sprecare denaro, e pagare i becchini del nucleare che stanno lì a presidiare i rifiuti degli americani piuttosto che liberare il fertile suolo italiano dall’ennesima spada di Damocle. Ma non bastavano le barre di Elk River, a quelle si aggiungono quintali di materiale nucleare (uranio fresco, semiarricchito ed impoverito) stoccato sempre nei capannoni della Trisaia, materiale ad uso bellico sul quale vige il segreto. Potenziale sito di interesse bellico/terroristico sul quale chiunque può volare con un normale drone, dove la popolazione locale viene ritenuta sacrificabile per presunti equilibri internazionali che in realtà si chiamano servilismo a stelle&strisce.
Con quei soldi la sanità, le scuole, le strade, i disabili, gli anziani e gli studenti avrebbero i servizi che non hanno mai avuto e probabilmente non avranno mai, invece meglio servire i padroni della NATO, pagando loro anche il pizzo energetico.
F.to – Giorgio Santoriello