Una situazione sempre più esplosiva, quella che ruota attorno all’ex Ilva di Taranto. Con ArcelorMittal che continua a cercare di passare per vittima, incredibilmente spalleggiata da quel mondo sovranista che vorrebbe lo Stato italiano pronto a chinare il capo di fronte a gli interessi delle multinazionali di turno. Tentando di rassicurare gli animi con parole come quelle dell’ad italiana Lucia Morselli, che ha assicurato la disponibilità del colosso dell’acciaio a onorare i pagamenti.
Il presidente di Confindustria Taranto Antonio Marinaro ha sottolineato, al netto delle garanzie sbandierate, come la Morselli non abbia in realtà mai incontrato i rappresentanti delle aziende fornitrici, limitandosi a promesse fatte per interposta persona. Nel frattempo, il microcosmo dell’indotto è pronto a mobilitarsi e dar via alla protesta, con i tir a ostruire gli ingressi e il blocco totale delle forniture. Una situazione che rischia di precipitare.
150, in totale, le aziende che ruotano intorno ad ArcelorMittal, per un totale di seimila addetti. Nel 70% dei casi si tratta di aziende mono-committenti che lavorano soltanto per l’ex Ilva, piccole e medie imprese di alta specializzazione che si portano dietro un bagaglio già molto ampio di crediti da riscuotere. La gestione commissariale, infatti, gli deve ancora 150 milioni di euro e altri 50 li hanno maturati soltanto negli ultimi mesi con il colosso indiano dell’acciaio, al quale continuano ad arrivare ordinativi e commesse nonostante i pagamenti siano stati sospesi.
Una situazione impossibile da sostenere a lungo andare: alcune piccole imprese hanno già chiesto la cassa integrazione per i propri dipendenti, per molti altri lo stipendio del prossimo mese è un’incognita. Il governatore regionale Michele Emiliano ha parlato dell’ipotesi di un fondo rotativo a disposizione delle aziende dell’indotto Ilva. Ma i tempi, si è già capito, saranno lunghi. Troppo, probabilmente, per chi aspetta ancora di ottenere semplicemente quello che gli è dovuto.
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