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Il coraggio dei Benetton: ora chiedono loro i soldi al governo per il coronavirus

Pubblicato il 27/03/2020 11:52

Se volete la definizione di paradosso, eccola. E ha come protagonisti i Benetton, il governo e le autostrade. Fino a un mese fa, si parlava della revoca della concessioni per il disastro del ponte Morandi di Genova. Ora, Autostrade per l’Italia (Aspi) dei Benetton guida la carica dei concessionari che chiedono soldi al governo per far fronte all’emergenza coronavirus, ventilando il rischio di fallimento. Come fa sapere Carlo Di Foggia con un articolo su Il Fatto Quotdidiano, “la lettera, allarmata e minacciosa, è stata spedita lunedì scorso ai ministri dei Trasporti e dell’Economia Paola De Micheli e Roberto Gualtieri. La firma il presidente dell’Aiscat, l’associazione delle concessionarie, Fabrizio Palenzona, uomo di fiducia dei Benetton”.

La holding Atlantia controlla Aspi, e ha in gestione due terzi dei quasi 5 mila chilometri di autostrade. Palenzona – scrive Di Foggia – mette in guardia dalle “inevitabili ricadute sul settore delle limitazioni agli spostamenti imposte dalle norme emergenziali: le autostrade – si legge – stanno assistendo a un crollo del traffico veicolare senza precedenti nella storia”, stimato in “circa l’80 per cento sull’intera rete”. Questo “comporta sin da ora gravi ripercussioni sulla capacità dei concessionari di poter sostenere i costi operativi connessi alla necessità di mantenere in esercizio le infrastrutture, nonché un grave pregiudizio alla possibilità di generare sufficiente cassa dalla riscossione delle tariffe”.

Palenzona avvisa che “è a rischio la sopravvivenza stessa di molti operatori” se l’emergenza durasse oltre marzo. Un allarme che ha senso per le associate più piccole, non certo perAutostrade. Ricorda Di Foggia: “Nel 2017, ultimo bilancio non intaccato dall’effetto Morandi, ha incassato dai pedaggi 3,9 miliardi spendendone solo 1,5 per gestione e manutenzione e consegnando alla controllante Atlantia 2,45 miliardi di margine operativo lordo (Ebitda). In sostanza, fattura 350 milioni al mese, con costi intorno ai 100 milioni, ora ridotti per il ricorso alla Cassa integrazione e, comunque, sopportabili per qualche mese visto che Aspi produce ogni anno un utile netto attorno al miliardo”.

I Benetton, dunque, lamentano di essere esclusi dalle misure del decreto “Cura Italia”. E – che coraggio! – chiedendo una misura che sospenda “qualsiasi imposta, tassa o debito a favore delle amministrazioni dello Stato o di enti o società a prevalente capitale pubblico”. Una formula che sembra scritta per comprendere anche gli 1,7 miliardi di debiti che Aspi ha nei confronti della Cassa Depositi e Prestiti. Non solo. I Benetton chiedono anche “una moratoria garantita dallo Stato” dei debiti verso le banche e “la sospensione dell’ammortamento dei beni devolvibili” e, già che ci sono, pure “un contributo in conto esercizio, da erogarsi per assicurare la continuità e la sicurezza del servizio” e che vada a coprire lo sbilancio tra costi manutentivi e i pedaggi realmente incassati. Dov’è il pudore?

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