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Autostrade, la Corte dei Conti: pedaggi sempre più su, investimenti sempre più giù

Pubblicato il 10/01/2020 12:18 - Aggiornato il 10/01/2020 13:34

Si sta facendo sempre più largo – anche nell’opinione pubblica, finalmente – la possibilità di revocare tutte le concessione autostradali e far tornare la gestione dell’intera rete nelle mani dello Stato, portando così alla rimozione dei pedaggi per i cittadini. Anche perché, se si vanno a leggere bene i numeri, c’è un dato in particolare che spicca, ed è il rapporto tra il costante aumento (di anno in anno) dei pedaggi da parte di Autostrade a fronte di investimenti sempre più bassi. Anche ad occhio, guardando i grafici, le due frecce vanno in direzioni opposte: quella dei pedaggi sempre più su, e quella degli investimenti sempre più giù. Cosa ne deriva? Per dirla in parole semplicissime, che i concessionari si arricchiscono, i cittadini si impoveriscono ai caselli e che i viadotti e le gallerie vengono giù. Ma non è tutto, guardiamo ora nel dettaglio i numeri e le analisi messe nero su bianco nella relazione della Corte dei Conti 2019.

Si legge nel documento, alla voce “Incrementi delle tariffe” che “la Banca d’Italia ha stigmatizzato che la pluralità delle formule operanti, la definizione poco precisa di alcune delle variabili e le difficoltà nel riesame dell’adeguatezza delle tariffe di base all’avvio di ogni nuovo periodo regolatorio quinquennale abbiano creato un’incertezza regolamentare, a seguito della quale la dinamica effettiva delle tariffe ha superato quella dell’inflazione e consentito livelli elevati di redditività per le concessionarie. Le misure adottate per stimolare nuovi investimenti hanno avuto esiti limitati; ad esempio, tra il 2008 e il 2013, questi sono rimasti stabili e non hanno seguito il profilo crescente dei piani di sviluppo annessi alle convenzioni siglate all’inizio del quinquennio”.

E ancora: “Secondo la Banca d’Italia, ogni chilometro di autostrada genera annualmente ricavi medi per oltre 1,1 milioni: 300 mila per lo Stato e 850 mila per le concessionarie, beneficiarie anche dei ricavi da subconcessioni e da altre attività commerciali svolte sulla rete. Negli anni, i ricavi sono più che raddoppiati, passando da 2,5 miliardi nel 1993 a oltre 6,5 miliardi nel 2012 […]. Sempre la Banca d’Italia lamenta che la mancanza di informazioni adeguate sui piani economico-finanziari ha reso difficile valutare la congruità dell’evoluzione tariffaria effettiva e la sua coerenza con i principi regolatori. Se la previsione di interventi finalizzati al miglioramento della qualità può aver consentito incrementi tariffari in relazione agli investimenti e al miglioramento qualitativo, tuttavia l’opacità delle informazioni relative ai piani economico-finanziari e agli investimenti effettivi non ha permesso di verificare quanta parte della dinamica tariffaria sia stata consentita dalla previsione di investimenti non realizzati“.

“Un’analisi dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici aveva, in precedenza, lamentato una sistematica sottovalutazione dei volumi di traffico e conseguente sovradimensionamento delle tariffe unitarie. La sottovalutazione, oltre a innalzare i profitti, ha indotto a sottodimensionare gli investimenti da realizzare a fini di manutenzione e ampliamento nell’arco temporale della concessione”. Per tradurre tutto questo con un altro dato: in 15 anni c’è stato un aumento dei pedaggi del 70 per cento.

In conclusione, aggiungiamo noi, che l’equazione “aumento dei guadagni e meno investimenti” ha fatto corrispondere un aumento del valore di borsa di Atlantia che, dal momento che la rete non è cresciuta, non poteva essere ottenuto che in un solo modo: abbassamento dei costi di manutenzione e investimenti. Quindi tariffe più alte, meno manutenzione (e ahinoi più morti, come il Ponte Morandi ci testimonia) e investimenti per ottenere maggiori dividendi e tenere sempre in crescita il valore in borsa.

A questo punto sarà sacrosanta la revoca della concessione ad Atlantia, ma ancor più importante è chiarire una volta per tutte che la gestione privata delle concessioni ha significato un aumento sproporzionato e ingiustificato dei pedaggi a cui non ha corrisposto un’adeguata manutenzione della rete, ma che ha decisamente generato dividendi spropositati e un aumento del valore di borsa non congruo con i reali valori delle società concessionarie.

Togliere la concessione ad Atlantia dovrà essere solo il primo passo, che certificherà il fallimento dell’intero sistema delle concessioni e farà da traino al ritorno dell’intera rete in gestione allo Stato. La revoca delle concessioni, ad Atlantia prima e a tutti gli altri poi, è anche il perno intorno al quale dovrà ruotare il fare giustizia: per i morti di questi anni (non solo del Ponte Morandi). L’Italia deve tornare a essere un grande Paese. Può farlo, ripartendo proprio dal riappropriarsi delle proprie infrastrutture, a cominciare dalle autostrade.

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