L’uomo più ricco del mondo, Jeff Bezos, taglia i benefici per la salute di 1.900 lavoratori di Whole Food, la catena di supermercati bio acquisita da Amazon nel 2017. Bezos doveva tagliare i costi, e così ha deciso di eliminare la copertura sanitaria per i dipendenti part-time. La misura sarà in vigore dal 1 gennaio 2020 e riguarda il 2% dello staff totale di Whole Foods, come ha confermato l’azienda alla testata Business Insider. In pratica, su 95.000 dipendenti negli Stati Uniti, circa 1.900 non potranno più contare sull’assicurazione medica pagata dal datore di lavoro. E quello che sorprende è che a instaurare questo regime lavorativo sia l’uomo più ricco del mondo, cioè colui che potrebbe tranquillamente garantire i diritti per tutti. La scelta del patron di Amazon, ovviamente, ha scatenato una miriade di proteste.
Whole Foods ha affermato che la decisione scaturisce dall’esigenza di “soddisfare meglio le necessità del nostro business e creare un modello organizzativo più giusto e efficiente”. Per questo sono state modificate le credenziali di idoneità per la copertura delle prestazioni mediche. Whole Foods ha anche indicato che sta fornendo tutte le risorse e l’assistenza possibili per aiutare i dipendenti part-time a trovare assicurazioni sanitarie alternative ma anche per indirizzarli a valutare posizioni full-time in azienda che rendono idonei alla fornitura di copertura medica da parte del datore di lavoro.
Gli attuali dipendenti classificati da Whole Foods come part-time lavorano fra 20 e 29 ore settimanali; il full-time scatta con le 30 ore settimanali. Altri benefit resteranno validi per tutti i dipendenti, come lo sconto del 20% su tutti gli acquisti nei negozi Whole Foods, ma ovviamente non sono vantaggi dello stesso valore dell’assicurazione medica. Per molti, soprattutto donne, il lavoro part-time con assicurazione che copriva anche i bambini era un benefit dal grande valore aggiunto. Per Amazon la ricaduta sulla reputazione è negativa: gli attacchi sui social contro Jeff Bezos si sono moltiplicati.
Come scrive Patrizia Licata su CorCom, “il colosso dell’ecommerce è spesso sotto il fuoco di consumatori, sindacati e politici per le condizioni contrattuali dei suoi dipendenti e il potere dominante nelle vendite online. Quest’anno le proteste dei newyorkesi e degli amministratori pubblici hanno spinto Amazon a rinunciare a realizzare la seconda sede generale americana a Long Island, dove aveva promesso di creare 25mila posti di lavoro in cambio di agevolazioni fiscali”.
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