“C’è un’oggettiva difficoltà ad assicurare il distanziamento sui mezzi di trasporto”. Alla fine se ne è accorto pure Giuseppe Conte, che di certo su un mezzo pubblico sono diversi anni che non ci sale, ma che avrà ricevuto sul suo telefono le immagini che hanno invaso i social in questi giorni. Il paradosso dei ristoranti chiusi per arginare il virus e tenere le distanze, in contrasto con quelle dei mezzi pubblici – soprattutto delle grandi città – dove studenti e lavoratori stanno ammassati per raggiungere le scuole e le rispettive sedi. Al contrario di quello che dice Azzolina, è evidente che la curva dei contagi abbia iniziato a salire vertiginosamente da fine settembre in poi, cioè da quando l’esercito di otto milioni di studenti si è rimesso in movimento per tornare a scuola. E così, mentre a luglio la Azzolina pensava ai banchi con le rotelle, non le è venuto in mente di riorganizzare il rientro a scuola tenendo in considerazione anche il fattore trasporti.
Ma la colpa non è di certo tutta della Azzolina, c’è soprattutto quella della titolare del ministero dei trasporti, Paola De Micheli, e degli enti locali che non hanno saputo spendere i soldi messi effettivamente a disposizione. Come spiegano molto bene Emanuele Lauria e Giovanna Vitale su la Repubblica, “questa è la storia del pericoloso flop dei trasporti pubblici, che ha contribuito a provocare l’attuale stato di semi-lockdown e che ha generato uno scontro fra il governo e le autonomie locali”. Il governo ha stanziato a fine agosto 300 milioni per potenziare i servizi di trasporto, ma le Regioni, al momento, ne hanno spesi solo 120.
“Fondi che, però, sono stati materialmente ripartiti due mesi dopo, con un decreto attuativo firmato venerdì scorso. In ogni caso, in forza di impegni e anticipazioni, quei soldi sono stati impiegati per 4 mila nuove corse: impossibile acquistare bus nuovi in breve tempo, sono stati utilizzati 2 mila bus forniti da privati. Eppure ciò non è bastato a evitare l’emergenza. Perché il potenziamento è avvenuto principalmente su tratte extraurbane e nei piccoli centri, mentre non è servito ad alleggerire le corse nei capoluoghi, dove più forte è la domanda di mobilità”.
Lo scoglio più alto si è rivelato lo scaglionamento degli orari di ingresso e di uscita dalle scuole. “Il vero problema è che le aziende di trasporto non sono mai riuscite neppure a conoscere la domanda di mobilità”, sintetizza Andrea Gibelli, presidente di Asstra, l’associazione che rappresenta il 95 per cento del Tpl urbano in Italia: “L’autonomia scolastica è sacra – osserva Gibelli – ma in questo periodo di emergenza tutti stanno rinunciando a qualcosa. Forse chi sovraintende al mondo della scuola avrebbe potuto fare di più per assicurare un coordinamento”. Ma almeno sino a metà ottobre la ministra Lucia Azzolina non ha voluto prendere in considerazione indicazioni univoche, su tutto il territorio, sullo scaglionamento degli orari delle lezioni, malgrado le sollecitazioni in senso contrario di altri esponenti di governo (come Francesco Boccia), di altri esperti e degli enti locali. Ma si sa, lei non sbaglia mai e ascolta solo se stessa.
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