di David Lisetti.
Il seguente articolo presenta la terza parte di una serie di contenuti che traggono ispirazione dalle ricerche del professore della teoria monetaria moderna (modern monetary theory, MMT), Bill Mitchell.
Nella prima parte di questa trattazione abbiamo analizzato lo strumento di manipolazione dei contenuti economici, ovvero il “frame”, specificando come la realtà economica che ci viene proposta non è l’unica possibile ma che esiste un’alternativa che può garantire innumerevoli vantaggi alla collettività ed al nostro paese.
Nella seconda parte, invece, abbiamo analizzato le motivazioni alla base della forza narrativa del mainstream economico e perché tale approccio economico ha così tanta presa sul pubblico.
In questa terza parte entreremo nel vivo delle argomentazioni economiche del mainstream, contrapponendole all’innovativo approccio della teoria monetaria moderna.
Affermazione n. 1: lo Stato è come una famiglia
L’analogia con la contabilità di una famiglie è totalmente falsa. Una famiglia “utilizza” la moneta e deve necessariamente finanziare la propria spesa con l’indebitamento o attingendo ai propri risparmi. Uno Stato invece può emettere la valuta e spenderla; questo può avvenire senza ricorrere alla fiscalità generale (tassazione dei cittadini) e senza necessariamente indebitarsi con soggetti istituzionali “terzi”. Una famiglia non può spendere indefinitamente più di quanto incassa perché il debito privato ha limiti di sostenibilità. Le scelte di spesa di una famiglia sono quindi limitate – hanno un “vincolo esterno” – e non possono rimanere in negativo per lunghi periodi. Un governo con sovranità sulla propria valuta, al contrario, non ha tecnicamente l’obbligo di legare la propria spesa alle tasse che impone ai propri cittadini e può sempre permettersi di registrare un deficit pubblico senza nessun rischio di insolvenza.
Le nazioni dell’euro sono l’eccezione. Hanno ceduto la sovranità sulla propria valuta e devono dunque prendere soldi in prestito per rinnovare il proprio debito e coprire il deficit, il che le rende dipendenti dai mercati (in mancanza del supporto della Banca centrale europea; vedere il programma di acquisto titoli denominato PEPP) esponendoli al rischio di insolvenza.
Tutto ciò implica:
- che l’analogia tra Stato e famiglia è inapplicabile;
- che le nostre esperienze personali di gestione delle finanze non generano assunti rilevanti per quelle di uno Stato;
- che una narrativa alternativa deve prendere in considerazione le caratteristiche peculiari della valuta come monopolio di Stato.
Affermazione n. 2: i deficit sono un male, i surplus/tesoretti pubblici sono un bene
I deficit pubblici non sono di per sé un bene o un male in termini meramente contabili e lo stesso si può dire per i surplus/tesoretti, poiché in termini comportamentali i primi sono necessari quando i desideri di spesa dei privati non sono sufficienti ad assicurare un pieno utilizzo delle risorse disponibili nella comunità.
È il contesto che è importante, perché la spesa pubblica è il mezzo per raggiungere gli obbiettivi della comunità: la contabilità pubblica non può essere un obbiettivo politico che ha priorità rispetto agli interessi sociali della comunità di riferimento. Per antitesi, gli avanzi primari (che riflettono una situazione in cui vengono tolti in tasse alla comunità più soldi di quelli dati con la spesa pubblica) non sono di per sé buoni o cattivi, anzi in determinate circostanze sono dannosi. Per intenderci, in una nazione con un forte export netto, alti standard di servizi pubblici e un livello di reddito nazionale sufficiente a supportare il desiderio di risparmio dei cittadini, un avanzo primario può essere necessario per contenere la domanda aggregata ed evitare l’inflazione.
Il risultato di un bilancio è sempre determinato dallo stato totale delle attività ed è ampiamente al di là del controllo del governo. Se la spesa del settore privato è debole allora il deficit solitamente salirà in quanto il denaro raccolto dalle tasse diminuirà indipendentemente dalle intenzioni iniziali del governo; questo è esattamente ciò che sta succedendo in questi mesi di blocco parziale dell’economia e dei consumi causato dalle misure di contenimento epidemiologico. Un certo risultato di finanza pubblica può portare a deficit pubblici che sono positivi per la comunità nazionale, ad esempio un ampio deficit pubblico può essere il risultato di un’intenzione del governo di spendere di più per mantenere la piena occupazione indipendentemente dalle decisioni di risparmio e spesa della comunità. Quando la spesa dei cittadini collassa ed il deficit aumenta per le minori tasse raccolte la risposta corretta è di aumentare il deficit pubblico piuttosto che tagliarlo.
Come abbiamo visto nei precedenti articoli la parola deficit ha una connotazione inconscia negativa, poiché a livello cognitivo associamo al deficit una condizione di carenza, ma fermarsi solo alla superficialità delle nostre percezioni è altamente limitante perché non ci permette di apprezzare i contributi positivi che i deficit pubblici possono arrecare al settore non governativo in termini di aumento dei beni finanziari e della ricchezza netta. Il deficit pubblico è l’unica fonte di attività finanziaria al netto per il settore privato ed estero; la realtà contabile rende evidente che se il settore non governativo vuole risparmiare nella valuta emessa dallo Stato quest’ultimo deve fornirla attraverso il deficit pubblico.
I saldi settoriali derivano da una generale contabilità nazionale che mostra come i deficit pubblici (ed i surplus) eguagliano sempre i surplus (o deficit) del settore non governativo. Il perseguimento sistemico di avanzi pubblici manifesta necessariamente un declino nei risparmi dei cittadini e del settore non governativo nel suo complesso. I surplus di bilancio distruggono dunque ricchezza finanziaria al netto, forzando il settore privato a vendere le proprie attività in cambio di liquidità, con risultati deflazionistici.
Come detto precedentemente gli indebitamenti di lungo periodo di una famiglia portano gravi problemi di sostenibilità finanziaria per la famiglia stessa; questo chiaramente vale anche per l’aggregato di tutti i soggetti privati (settore non governativo) che compongono un’economia, quindi risulta logico che politiche di surplus, che forzano l’indebitamento del settore non governativo, non possono essere percorse nel lungo termine poiché essendo il settore non governativo finanziariamente limitato non può reggere l’impatto di un alto indebitamento.
In ultimo, la decisione da parte del settore privato di aumentare il proprio risparmio e ridurre il proprio livello d’indebitamento può interagire con il drenaggio fiscale proveniente dagli avanzi pubblici e guidare l’economia verso una recessione.
La componente endogena del bilancio pubblico porterà dunque il deficit al livello iniziale ma questa volta con risultati negativi.
Implicazioni:
- comprendere il particolare contesto in cui si forma ogni bilancio pubblico è cruciale per una valutazione consapevole riguardo l’appropriatezza della politica fiscale
- il fatto che il deficit pubblico permette al settore non governativo di risparmiare in aggregato mentre un avanzo di bilancio distrugge il benessere della collettività deve essere evidenziato.
Affermazione 3: gli avanzi di bilancio contribuiscono al risparmio nazionale
Uno Stato che emette la propria valuta non ha bisogno di accumulare risparmi nella stessa unità di conto. Gli avanzi di bilancio non sono “risparmi pubblici” utilizzabili per finanziare la futura spesa pubblica. Il risparmio è l’atto di rimandare la spesa corrente per aumentare la capacità di spesa futura e si applica ai soggetti finanziariamente limitati come le famiglie, e al settore non governativo in generale.
Un governo che emette la propria valuta non avrà mai bisogno di finanziare in anticipo le proprie spese future e dunque di risparmiare.
I limiti alla spesa pubblica non hanno natura finanziaria ma sono definiti dalla disponibilità di risorse reali vendibili nella valuta emessa dal governo (approfondiremo questo concetto in un prossimo articolo).
Implicazioni:
- gli avanzi di bilancio distruggono la ricchezza dei cittadini;
- i deficit di bilancio aggiungono ricchezza a i cittadini.
Affermazione 4: il bilancio dello stato dovrebbe essere “bilanciato” durante il ciclo economico
Comprendendo che il risultato delle finanze pubbliche è endogeno (derivante da condizioni non sotto il diretto controllo di uno Stato) intendiamo che il governo non può realisticamente perseguire un determinato obbiettivo di bilancio poiché i cambiamenti nella spesa dei cittadini, ad esempio, possono deviare tale sforzo dell’azione governativa. Una strategia responsabile per un governo è adeguarsi nelle proprie finanze ad i livelli di spesa dell’economia al fine di mantenere la piena occupazione, dato un certo livello di spesa del settore governativo, indipendentemente dall’ammontare del bilancio pubblico.
La contabilità nazionale ci dice che per una nazione che incorre in un deficit non governativo, delle regole di pareggio del bilancio per lo Stato equivalgono al richiedere ai cittadini di incorrere in una perdita di ammontare pari al deficit esterno. Questa può essere difficilmente una strategia sostenibile.
Inoltre, una strategia fiscale anti-ciclica non richiede assolutamente al governo di perseguire un avanzo. Il concetto di contro-ciclicità si riferisce più correttamente alla tendenza della variazione piuttosto che all’ammontare del bilancio. Il governo non dovrebbe aumentare la sua spesa netta se l’economia è già alla sua piena capacità con l’attuale mix di spesa privata. Questo tipo di aumento sarebbe pro-ciclico, mentre mantenere un deficit costante quando il deficit esterno è stabile ed il settore privato domestico riesce a risparmiare quanto desiderato è l’obbiettivo da perseguire.
Implicazioni:
- regole di finanza pubblica che definiscono livelli di debito o deficit sono incompatibili con una responsabile gestione della politica di spesa;
- uno Stato che emette la propria valuta deve perseguire obbiettivi funzionali alla propria comunità e permettere al proprio bilancio di adeguarsi di conseguenza.
Con questo articolo abbiamo visto come quattro affermazioni che i media mainstream, gli economisti e i commentatori danno per scontato sono totalmente false; la realtà è simmetricamente opposta a quanto ci viene ripetuto da anni a rete unificate.
Nel prossimo articolo continueremo l’operazione di “debunking” del pensiero unico andando ad esaminare altre affermazioni collegate ai temi di finanza pubblica.
Spero che con questo articolo sia riuscito a suscitare la vostra curiosità e il vostro interesse: l’economia è una disciplina (per favore non chiamatela scienza) ostica e non molto attraente ma è dalla comprensione di questi aspetti di contabilità pubblica che si basa la critica alle istituzioni europee, le quali rappresentano l’incarnazione istituzionale e radicale del pensiero unico mainstream.
Un continente o una nazione che punti alla prosperità dovrebbe fare esattamente l’opposto di quanto è stata ratificato nei trattati europei.