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Ecco come media e think tank manipolano l’informazione economica

Pubblicato il 26/06/2020 12:16

di David Lisetti.

Prima parte di un articolo in due parti. La seconda parte è consultabile qui.

L’obbiettivo di questo articolo è quello di guidare il lettore alla scoperta degli artifizi retorici utilizzati dal mainstream economico per indirizzare l’opinione pubblica all’accettazione di un mondo basato sulle disparità, sulle privatizzazioni e sull’austerità. Nella seconda parte dell’articolo, infatti, contrapporremo il modello basato sui principi della MMT; ricordo ai lettori che nei prossimi giorni saranno pubblicati ulteriori contenuti utili a comprendere gli aspetti teorici di questa affascinante teoria economica.

Nella costruzione della narrativa liberista i think tank e i gruppi di potere giocano un ruolo centrale: quest’ultimi hanno il compito di produrre  ricerche e report politici che imbrigliano il dibattito all’interno di concetti e dogmi ortodossi che molto spesso, proprio attraverso i report dei think tank, diventano la base dei programmi politici pro-establishment. La loro volontà di tollerare fenomeni quali la disoccupazione di massa, l’aumento della disuguaglianze e più in generale della povertà è l’evidenza della dinamica sopra descritta. Una lunga lista di politici è diventata un megafono di queste “ricerche indipendenti” con la finalità di avvalorare la macelleria sociale e dei diritti grazie alla supposta superiorità accademica delle loro argomentazioni. Organizzazioni come la Patterson Foundation (USA), il Cato Institute (USA) e il Centre of Independent Studies (Australia), come molte altre organizzazioni similari, continuano ancora oggi la loro sistematica operazione di indirizzamento del dibattito politico. 

Una tecnica utilizzata per incanalare a loro vantaggio il dibattito economico viene definita “frame”. Con il termine frame ci riferiamo al modo in cui un determinato argomento viene concettualizzato e comunicato dai media agli ascoltatori. Il processo di concettualizzazione procede adattando dei modelli teorici di rappresentazione della realtà alla realtà stessa. Le ricerche nel campo della filosofia cognitiva e della linguistica cognitiva indicano come questi modelli teorici vengono da noi percepiti come credibili ponendo un primo limite alla nostra libertà di pensiero. Questo processo di creazione della realtà avviene attraverso l’utilizzo di costrutti metaforici. 

In questo contesto, potremmo definire il frame utilizzato come il “frame individualista mainstream”, i cui sostenitori sono particolarmente efficaci nel propagare i loro ideali tramite l’utilizzo del linguaggio metaforico. Proprio questa loro capacità di produrre veri e propri “miti” correlati alla loro ideologia ha portato il pubblico ad accettare tali argomentazioni come veritiere. La tolleranza sempre maggiore di una popolazione disoccupata, impoverita e con una crescente differenziazione del tessuto sociale è il risultato tangibile di quanto il frame ideologico sia un dato di fatto incontrovertibile. 

Gli studi dell’esperta di comunicazione Anat Shenkar-Osorio sono propedeutici a comprendere in modo ancora più approfondito il concetto di frame; utilizzeremo a tal fine la figura seguente, attraverso cui la dottoressa Anat descrive il modello “conservativo” che può essere riassunto con «gli individui e la natura esistono principalmente per servire leconomia». Questa visione è collegata ad un assunto che permea la nostra percezione economica, ossia: «un economia competitiva che si autoregola da sola è la migliore condizione per aumentare il benessere e i redditiciò sarà possibile se consentiremo al mercato di operare con il minimo intervento da parte delle istituzioni governative».

L’economia secondo questo modello è considerata come divina, la quale riconoscendo il nostro impegno nel diminuire le nostre interferenze verso il suo operato ci ricompenserà donandoci pace e prosperità. Noi esseri umani dobbiamo avere “fede” perché il Dio economico “tutto vede”; se lavoriamo duramente e facciamo i giusti sacrifici, i sarà caritatevole nei nostri confronti.

Mentre la società occidentale cerca di dimostrare la sua laicità religiosa condannando gli estremismi dei fedeli, ithink tank e i media vendono nell’economia una nuova fede universale.

Basti pensare alla forza evocativa delle frasi pronunciate e da tutti noi ascoltate, grazie ai media nazionali e mondiali, durante il governo Monti: «Se tutti noi saremo disposti a fare dei sacrifici i mercati ci premieranno».

Ditemi se alla luce di quanto sopra descritto questa frase non suona quasi mistica piuttosto che economica. È sulla base di costrutti metaforici come questi che si basa il predominio della narrativa mainstream. L’economia viene rappresentata come un’entità vivente. Se le istituzioni intervengono fornendo supporto ai soggetti immeritevoli, agli “sfaticati”, ai “reietti”, essa agisce contro la sua stessa natura, va contro il processo di naturale competizione. La soluzione proposta dal mainstream a questi squilibri consiste nel ristabilire un processo naturale all’interno dell’economia con “un’antidoto, una medicina, un farmaco”, che si concretizza nella necessità di limitare gradualmente l’intervento del governo. 

Il messaggio chiave racchiuso in questa analisi, scrive Shenker-Osorio, è che «l’autoregolamentazione del libero mercato è qualcosa di naturale», che l’intento del governo di salvaguardare livelli dignitosi per i suoi cittadini porta più mali che benefici e a noi non resta che accettare questa dura legge universale del “Dio economico”.  

Questa narrativa ci insegna che i nostri successi sono collegati al successo del sistema stesso e che il successo o il suo fallimento è determinato dalla nostra capacità di essere disposti al sacrificio. Questo concetto ci riporta alla celeberrima concezione della “durezza del vivere” dell’allora ministro Padoa Schioppa. Quindi seguendo questa logica la disoccupazione è responsabilità del disoccupato stesso, quando in realtà spesso la disoccupazione è correlata ad una mancanza sistemica di posti di lavoro.

I progressisti come i conservatori sono ostaggio delle stesse infondate credenze riguardanti il funzionamento dell’economia e nel frattempo la società si ritrova sottomessa al dato di fatto imperante ovverosia che “non ci sono alternative”: le uniche politiche economiche possibili sono quelle dannose oramai introdotte da tempo dai vari governi che si sono succeduti. Chiaramente non c’è nulla di più falso.

Contrapponiamo ora un altro frame a quello del mainstream. Parliamo di quello della teoria monetaria moderna (MMT) attraverso l’utilizzo di un’altra figura, quella seguente, che rappresenta unalternativa al modello precedentemente esposto: qui potete vedere come l’economia lavori per i nostri interessi, per i nostri scopi, come una sovrastruttura creata da noi stessi; le persone in questo modello sono totalmente incorporate all’interno del sistema e il sistema nutre le persone come parti integranti dello stesso.

Questa immagine ci suggerisce una nozione fondamentale ossia che noi esseri umani siamo in stretta connessione con l’ambiente circostante e ci poniamo tutta una serie di obbiettivi che riteniamo importanti per il nostro progresso. 

L’economia è uno strumento che lavora per nostro conto. Tutto il dibattito su cosa la politica dovrebbe fare, su cosa sia giusto o sbagliato, dovrebbe essere esclusivamente collegato al livello di benessere che vogliamo raggiungere, mentre oggi l’intero dibattito si concentra nel discutere su quanto ancora l’economia debba crescere. L’economia, in altre parole, è una creazione dell’uomo fatta per servire l’uomo.

Da questo punto di vista possiamo vedere come l’economia sia un mero strumento nelle mani dell’uomo; tutti gli interventi di politica economica dovrebbero essere valutati in funzione di quanto siano utili a raggiungere i nostri obbiettivi e dovremmo ragionare primariamente in termini di avanzamento del benessere pubblico, di come massimizzare la qualità della vita di ogni cittadino in un contesto di sostenibilità ambientale. Da questo punto di vista gli obbiettivi socio-economici diventano il nucleo delle proposte politiche. 

Questa prospettiva fa da eco ai principi di finanza funzionale espressi da Abba Lerner (1943).  In accordo con ciò ritroviamo anche la base del pensiero economico MMT, il quale ci suggerisce quanto siano irrilevanti gli obbiettivi di bilancio se non si considerano allo stesso tempo anche gli obbiettivi di progresso e avanzamento della civiltà. 

Seguendo questo filone narrativo, quindi, sono le persone che creano l’economia e se l’economia è una nostra creazione non deve rispondere a regole “naturali”. Mentre concetti come il tasso naturale di disoccupazione, che implica una politica in cui si lascia al mercato la capacita di riequilibrare naturalmente il giusto livello di occupazione, sono del tutto infondati. 

Il governo può sempre scegliere di sostenere i suoi obbiettivi occupazionali. Noi abbiamo creato il governo per fare tutte quelle cose che da soli non saremmo in grado di fare, proprio come un qualsiasi agente o intermediario; allo stesso tempo ci rendiamo conto che gli obbiettivi che ci poniamo possono essere raggiunti solo se ci sono dei soggetti istituzionali preposti al controllo e all’implementazione degli obbiettivi che come comunità ci siamo preposti. 

I due modelli che sono stati esposti potrebbero essere riassunti come segue: figura 1 = visione individualista, figura 2 = visione sistemico-collettiva.

La visione sistemico-collettiva è importante perché essa provvede a giustificare tutte quelle misure utili a redistribuire i costi ed i benefici dell’attività economica.

In sostanza, per sistemico-collettiva si intende la possibilità per il governo di utilizzare la leva del deficit di spesa pubblica per assicurare posti di lavoro per tutti quelli che vogliono lavorare. La competizione fra i due modelli descritti e riassunti con i grafici, ha generato un acceso dibattito all’interno delle istituzioni accademiche. Dibattito che si può dire essere iniziato contemporaneamente alla grande crisi del ‘29, una crisi che ci ha insegnato quanto l’intervento pubblico sia necessario per governare l’imprevedibile caos degenerativo delle forze che operano scollegate fra loro all’interno del sistema capitalistico. 

Dalla crisi del ‘29 e in risposta ad essa abbiamo appreso che l’economia è una nostra costruzione, un nostro strumento e che noi possiamo controllarla attraverso la politica fiscale e la politica monetaria in modo da creare un elevato livello di benefici per tutta la collettività.

La crisi del ‘29 ci ha forzato a ragionare su come interpretare l’economia, comprendendo come essa sia una nostra creazione, progettata per generare benefici per tutti noi, non più quindi un’economia percepita come un’entità astratta che distribuisce premi o punizioni secondo una logica morale preimpostata. 

Nel prossimo articolo parleremo di “hypothesis embodied cognition” e di come questi innovativi studi sul cognitivismo possono aiutarci a  spiegare perché determinate metafore economiche hanno un così forte potere persuasivo. 

L’articolo trae ispirazione dallo studio del paper accademico “Framing Modern Money Theory” del prof. Bill Mitchell (università di Newcastle).