C’è stato un tempo, e neppure troppo lontano, in cui la manifattura italiana rappresentava un’eccellenza nel panorama mondiale. Poi è arrivato l’euro. Sino a giungere ad oggi: le politiche assurde della Banca centrale europea e i continui rialzi dei tassi d’interesse colpiscono in maniera durissima la nostra industria, particolarmente le piccole e medie imprese che ne costituiscono l’ossatura. I dati ufficiali ci dicono, infatti, che alla fine del secondo trimestre del 2023, la manifattura italiana ha registrato il peggiore calo della produzione dal culmine della crisi pandemica nel 2020. Per la precisione, Germania, Italia, Austria e Olanda, ma un po’ tutti i Paesi dell’Unione europea si trovano ai minimi dall’inizio della pandemia. Il quotidiano Libero riporta oggi le considerazioni di Tariq Kamal Chaudhry, economista di Hamburg Commercial Bank, secondo il quale “la ragione principale della debolezza di questo settore ad alta intensità di capitale è probabilmente il notevole aumento dei costi di finanziamento conseguente all’impennata dei tassi d’interesse della Bce”. (Continua a leggere dopo la foto)
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Le politiche autolesioniste della Bce
D’altronde non occorre essere degli economisti per comprendere quanto tali misure siano controproducenti e potenzialmente davvero deleterie per tessuto produttivo europeo, italiano in primis, considerato che la Germania, quella che un tempo era definita “Locomotiva d’Europa”, è già entrata in recessione. Possibile che a Francoforte Christine Lagarde e gli autorevoli membri del board della Banca centrale europea non lo capiscano? La stretta monetaria ha portato alla situazione per cui, nel giugno 2023 appena trascorso, riporta ancora il quotidiano milanese, l’indice Hcob Pmi di Standard and Poor’s per il manifatturiero italiano, che sintetizza le previsioni dei responsabili acquisti delle aziende, è calato a 43,8 punti rispetto al 45,9 riscontrato appena nel mese di maggio. E va precisato che un valore sotto 50 indica una contrazione dell’attività economica. (Continua a leggere dopo la foto)
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La posizione del governo italiano
Pesa molto, ed è sempre collegata al rialzo dei tassi d’interesse, la riduzione degli acquisti da parte delle aziende, al minimo da otto mesi a questa parte. Le esportazioni, invece, sono calate per il terzo mese di fila. La posizione del governo Meloni è chiara: “Non si può non considerare il rischio che l’aumento costante dei tassi sia una cura più dannosa della malattia”, aveva affermato appena una settimana fa il presidente del Consiglio. (Continua a leggere dopo la foto)
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La situazione negli altri Paesi e la “schizofrenia europea”
Per una volta, negli altri Paesi europei il quadro è addirittura più fosco. Manifattura a parte (l’indice Hcob Pmi per la manifattura europea è sceso a 43,4 punti a giugno), pesano, a differenza che nel nostro Paese – ma precisiamo che si tratta di dati relativi e da contestualizzare – i numeri sull’occupazione: per la prima volta da gennaio 2021, infatti, i livelli di personale in fabbrica sono stati ridotti. Inoltre, gli acquisti di beni e servizi utilizzati nei processi produttivi hanno messo a segno uno dei cali più rapidi in 26 anni. In un impeto di autolesionismo, stante la situazione tedesca, come già detto, assai critica, il governatore della Bundesbank, Joachim Nagel, al recente vertice Euro Finance di Francoforte: “Sebbene l’inflazione nell’area dell’euro sia in calo, è ancora troppo elevata”. Sicché i paladini del rigore, i cosiddetti falchi, dimostrano ancora una volta di agire contro gli interessi stessi dei cittadini. Su Investireoggi, Giuseppe Timpone illustra un meccanismo piuttosto schizofrenico: se, da una parte, la Bce alza i tassi contro l’inflazione, la Commissione europea implementa il Pnrr da 750 miliardi, mediante sussidi e prestiti. Questa enorme quantità di denaro non può non rallentare la discesa dell’inflazione.
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