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Pressione fiscale all’italiana: ogni impresa dà allo Stato 6 euro ogni 10 che ne guadagna

Pubblicato il 27/11/2019 16:15

Forse è ora che iniziamo a renderci conto della portata del problema “pressione fiscale” in Italia. Gridiamo ogni giorno contro le imposte dirette perché sono troppo alte e al tempo stesso ci lamentiamo delle imposte indirette. Adesso, però, arriva un rapporto della Banca mondiale a darci ragione. Secondo il rapporto “Paying Taxes 2020”, realizzato dalla Banca Mondiale e PwC, appare evidente che è aumentato ancora il carico fiscale complessivo sulle imprese (comprensivo di tasse e contributi), pari al 59,1% dei profitti commerciali (53,1% nella classifica precedente), rispetto al “peso” globale del 40,5% ed europeo del 38,9%. A darne conto è un articolo di Antonio Castro pubblicato oggi su Libero. Per l’Italia si tratta di un “dato essenzialmente riconducibile al venir meno degli sgravi contributivi introdotti quale misura temporanea non successiva-mente stabilizzata”.

Ma vediamo nel dettaglio. Scrive Castro: “In Italia non solo si pagano circa il 60% di tasse sul reddito d’impresa. Ma è pure complicato – e bisogna impiegarci la bellezza di 238 ore – per riuscire a rispettare gli adempimenti burocratici e far fronte alla marea di norme, adempimenti e direttive. Belpaese da record. Ma che conquista un podio a cui si farebbe volentieri a meno: quello della voracità fiscale. Da noi le imprese risultano essere più ‘spremute’ rispetto a quelle dei partner Ue e del resto del mondo”. Secondo il rapporto della Banca mondiale non migliorano nemmeno “i tempi necessari per richiedere e ottenere un rimborso Iva, o correggere un errore nella dichiarazione dei redditi”.

Per il contribuente italiano nel 2018 è rimasto invariato rispetto al 2017 (52,4, contro il 60,9 a livello mondiale e 83,1 a livello europeo). Però bisogna tener conto che l’indice è influenzato negativamente dalla stima (discrezionale) di una probabilità superiore al 50% che scatti una procedura di verifica/scambio di informazioni in seguito alla richiesta di un rimborso Iva, con un impatto significativo sull’allungamento dei tempi. Scrive Castro: “Mediamente le imprese italiane impiegano 42 ore per la richiesta di rimborso Iva, incluso il tempo speso per rispondere alle richieste ricevute nel corso delle verifiche fiscali dell’amministrazione finanziaria. Se sia poco o tanto basti considerare che la media mondiale è di 18,2 ore (7 ore la media europea)”.

Si legge ancora nell’articolo: “Il tempo di attesa del rimborso è di 62,6 settimane e copre il periodo di 6 mesi (26 settimane). Vale a dire il tempo che passa dall’acquisto del bene e la presentazione della dichiarazione Iva annuale. A livello globale il tempo stimato è invece di 27,3 settimane e a livello europeo di 16,4 settimane. C’è di buono che in Italia le imprese impiegano in media 5 ore per correggere un errore nella dichiarazione dei redditi, meno di un terzo rispetto alla media mondiale (14,6 ore) e comunque meno di quella europea (7 ore)”.

Conclude Castro: “L’introduzione della fatturazione elettronica e del sistema di interscambio (Sdi), ha velocizzato i tempi. Secondo il Report colloca l’Italia è al Livello B1, il più alto se si escludono le iniziative speri-mentali attraverso tecnologie blockchain, per lo sviluppo digitale. Ed è sempre grazie alla tecnologia che le economie di tutto il mondo sono riuscite a rendere il pagamento delle imposte sostanzialmente più semplice per le loro imprese”.

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