695 milioni della Cei, la Conferenza Episcopale Italiana, prima depositati e poi ritirati nell’istituto Banca Carige tra il 2017 e il 2018. Soldi, parecchi, che finiscono nelle casse della banca tutti insieme e poi ne escono prelevati in tranches da dieci, venti, cento milioni. A raccontare l’operazione è Ferruccio Sansa sulle pagine de Il Fatto Quotidiano, ricostruendo i movimenti di quella somma sulla quale oggi indagano gli investigatori.
“Il 5 luglio 2017 la Cei deposita cento milioni. Il 22 novembre vengono ritirati i primi 28. Nelle settimane successive altri 26 milioni, poi 28, ancora 26 e infine 18. Il saldo torna a zero”. Altri due versamenti sarebbero poi arrivati nel 2018, uno da 112 milioni (10 gennaio) poi nuovamente recuperato in tranches e un altro, la fetta più grossa, il 28 giugno 2018: 483 milioni.
Una vera e propria boccata d’ossigeno per Carige, che si trovava a vivere un periodo complicato segnato da un’emorragia di depositi. Anche in questo caso, poche settimane dopo il versamento di quasi mezzo miliardo, cominciano i prelievi: appena un mese dopo se ne vanno 350 milioni. A dicembre rimangono cento milioni. Resteranno fino al 28 dicembre, uno dei passaggi chiave nella storia dell’istituto: pochi giorni prima, infatti, la famiglia Malacalza (socio di maggioranza) aveva votato contro l’ennesimo aumento di capitale. Le azioni crollavano e si parlava di una fuga di depositi. Il 2 gennaio 2019 sarebbe poi arrivato il commissariamento.
Cei sostiene che il denaro depositato e poi ritirato sia frutto dell’8 per mille e che dietro spostamenti così rapidi non ci sia alcun mistero: “Non sono operazioni finanziarie. Ci appoggiamo a una banca per un breve periodo in attesa di utilizzare il denaro sul campo. Ovviamente le date dei depositi e dei prelievi non vanno messe in relazione con le vicende societarie della banca, che non ci riguardano. Noi riceviamo i denari dallo Stato a giugno”. Carige sarebbe stata scelta perché offriva un tasso dell’1,5% circa.
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