Luana D’Orazio, la ragazza di 22 anni scomparsa a maggio in un tragico incidente mentre lavorava in un’azienda tessile di Montemurlo in provincia di Prato, è morta per garantire alla ditta l’8% in più della produttività. Questo il risultato delle indagini, che hanno evidenziato come l’orditoio che ha risucchiato la giovane era stato manomesso, a insaputa della dipendente, proprio per aumentare i tempi di lavorazione.
Come riportato da Repubblica, la procura guidata da Giuseppe Nicolosi ha così chiuso le indagini, ipotizzando precise responsabilità a carico della titolare dell’azienda Luana Coppini, del marito Daniele Faggi (ritenuto dagli inquirenti amministratore di fatto) e di un tecnico manutentore, Mario Cusimano. L’accusa per tutti e tre è quella di omicidio colposo e rimozione dolosa delle cautele anti-infortunistiche.
Secondo il consulente Carlo Gini, il macchinario sarebbe stato manomesso presentando una staffa sporgente “non conforme”. Gli inquirenti ipotizzano che i motivi delle manipolazioni non sarebbero da ricercare in una generica incuria dei macchinari, ma nella precisa volontà di aumentare la produttività a scapito della sciurezza. Un incremento tra l’altro marginale, costato però la vita a Luana.
Madre di un bambino di cinque anni, la giovane era morta lo scorso 3 maggio, mentre si trovava da sola nei pressi del macchinario: rimasta agganciata alla staffa dell’orditoio per la manica della tuta da ginnastica che stava indossato, era stata risucchiata dal macchinario. Per il consulente della Procura, la macchina “presentava una evidente manomissione con un altrettanto evidente nesso causale con l’infortunio: la funzione di sicurezza della saracinesca era stata completamente disabilitata per cui l’operatore poteva accedere alla zona pericolosa, anche in modalità automatica, senza alcuna protezione”
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