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“La polizia ci spia attraverso Google!” Scoppia lo scandalo. Ecco come funziona

Pubblicato il 05/10/2023 18:18 - Aggiornato il 05/10/2023 18:53

Parliamo di Google, tra i giganti delle Big Tech probabilmente il più importante, perché entra quotidianamente nelle nostre vite, anche solo per una ricerca veloce e non soltanto per il servizio di posta elettronica o per la applicazione che mappa le strade del pianeta intero. Naturalmente una piattaforma di tale potenza, peraltro dotata di un ottimo sistema di geolocalizzazione, presta il fianco a svariate forme di controllo sociale. E così, come scrive L’Indipendente riprendendo un articolo di Bloomberg, è sempre più diffusa una pratica poliziesca ai limiti della stessa legalità, o quantomeno della violazione della privacy. Che le multinazionali dell’informatica possano condividere i dati dei propri utenti con le forze dell’ordine e con i Governi, in certi casi, forse, può anche sembrare una cosa giusta e utile ma, a quanto pare, si va ben oltre, quantomeno negli Stati Uniti. (Continua a leggere dopo la foto)
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Zachary McCoy, nel posto sbagliato al momento sbagliato

Tutto è venuto alla luce per la storia di cui nel 2020 si è occupato The Guardian: il povero Zachary McCoy è finito nel mirino del dipartimento di polizia di Gainesville, in Florida, e considerato il probabile autore di un furto in una abitazione, essenzialmente perché i suoi dati sulla posizione di Google mostravano alla polizia che era stato vicino alla casa in questione. Tanto è bastato per inserirlo in cima alla lista dei sospettati. La polizia della Florida ha ottenuto le informazioni da Google attraverso quello che viene chiamato un mandato di “Geo-fence”, termine con cui si indica un “recinto” (fence) virtuale entro cui localizzare un dispositivo elettronico. Così, le autorità costringono le aziende a comunicare quanti e quali dispositivi sono transitati in una specifica area geografica durante un lasso di tempo ben definito. Per essersi semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, Zachary McCoy era indagato e, di conseguenza, i suoi dati di Google rischiavano di essere consegnati alla polizia. Per la cronaca, l’uomo non aveva commesso alcun furto, né reati di altro genere: ha solo fatto un giro in bicicletta. (Continua a leggere dopo la foto)
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Zachary McCoy

E in Italia?

E in Italia, in Europa? Allo stato attuale, per fortuna, il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) ostacola l’uso delle pratiche di Geo-fencing: per accedere alle informazioni, gli investigatori dovrebbero ricevere il consenso esplicito del consumatore. Tutto ciò a livello teorico: Il rapporto sulla trasparenza pubblicato da Google ha rivelato che negli ultimi cinque anni le autorità italiane hanno inoltrato circa 1.200 richieste ogni semestre per ottenere informazioni, ma non è ben specificato in merito a cosa, né quante tra queste siano state accolte. Tali nuovi strumenti di applicazione della legge preoccupano non poco gli esperti e i sostenitori del diritto alla privacy. Il timore – fondatissimo – è che le agenzie e le giurisdizioni possano usare tale meccanismo relativamente incontrollato nel contesto di un controllo sociale pervasivo, una sorta di schedatura di massa di abitudini, informazioni, dati sensibili. (Continua a leggere dopo la foto)

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Il Geo-fencing

Potenzialmente, un mandato di Geo-fence può coinvolgere in una sola volta decine di migliaia di persone e, naturalmente, oltre alla posizione viene ceduta anche la cronologia delle ricerche in Internet. Nel 2021, precisamente in risposta all’articolo del Guardian, Google ha rivelato di aver ricevuto tra il 2018 e il 2020 ben 21.000 mandati di richiesta per i dati di geo-fencing solamente dalle autorità degli Stati Uniti. Stando a quanto riporta Bloomberg, già durante il 2022 le richieste sono lievitate a 60.472, l’80% delle quali è stato accolto.

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