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Ricollocamenti, il fallimento di Lamorgese e dell’Ue: via dall’Italia solo 464 su 12mila

Pubblicato il 09/06/2020 16:16

La ministra Lamorgese ce la ricordiamo, esultante, mentre dichiarava al mondo intero che sulla questione immigrazione l’Italia aveva vinto e ottenuto dall’Europa le quote di redistribuzione dei migranti. Insieme alla Lamorgese, tutti i paesi toccati dal traffico di uomini avevano inviato una missiva a Bruxelles per chiedere all’Unione europea di imporre una quota obbligatoria a tutti i suoi partner dimenticando le formule del Trattato di Dublino che impongono al paese di primo arrivo il dovere dell’accoglienza. Ma nel caso dell’Italia – come racconta oggi Gian Micalessin su Il Giornale – l’inconsistenza dell’asserito successo è scritta nei numeri.

Da settembre l’Italia è riuscita a far partire verso la Germania e altri paesi “volenterosi” appena 464 migranti. Si legge su Il Giornale: “Il tutto a fronte degli oltre 11mila 800 sbarchi registrati sulle nostre coste dal primo settembre ad oggi. Insomma più che un rimedio la redistribuzione si è rivelata un’inconsistente foglia di fico insufficiente a nascondere le falle di un esecutivo che tra settembre e oggi ha totalizzato un numero di sbarchi doppio rispetto ai meno di 6mila registrati tra il settembre 2018 e i primi di giugno 2019 quando agli interni c’era il contestato Matteo Salvini”.

“La supplica all’Europa – scrive Micalessin – è figlia degli avvertimenti dei nostri servizi segreti che da settimane segnalano le evoluzioni di uno scenario libico dove la disfatta del generale Khalifa Haftar può avere ripercussioni devastami per l’Italia. La prima riguarda i migranti. Da metà aprile Sabratha e le altre città del litorale occidentale sono di nuovo sotto il controllo dei trafficanti di uomini schierati con la Turchia e il governo di Fayez Al Serraj. Lì le milizie dei trafficanti controllano almeno 20mila migranti che possono venir rimessi sui barconi dando vita ad un nuovo esodo verso l’Italia”.

Il ritorno in mare dei barconi è nelle mani di Erdogan, interessatissimo al gas e al petrolio della Tripolitania e pronto a usare le masse di migranti in strumenti di pressione politica ed economica. “In tutto questo al nostro paese restano due carte da giocare. La prima si chiama Eni. La seconda è la nostra capacità di dialogare sia con la Russia, sia con gli Stati Uniti. La prospettiva di una spartizione decisa da Russia e Turchia ha risvegliato un’amministrazione Trump fin qui poco interessata allo scenario libico. E questo può farci rientrar in gioco. Di assi nella manica ne avremmo ancora. Manca solo un governo capace di giocarli”. Riuscirà Lamorgese nell’impresa?

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