A Irina, che ha bisogno di soldi, i compagni di corso hanno raccontato che si può sbarcare il lunario insegnando all’intelligenza artificiale a scrivere e ragionare meglio. Irina Teveleva è nata a Mosca ma è emigrata negli Stati Uniti, dove frequenta un Master universitario di scrittura creativa. Trova dunque lavoro in una di queste aziende che addestrano le proprie chatbot a sembrare umane. E qui accade l’impensabile. A raccontare questa storia è lei stessa in un articolo pubblicato sul magazine 183 del The Economist. Una storia così particolare da aver convinto Cecilia Sala a riprenderla nel suo podcast “Stories” per Choramedia. Il titolo della puntata è emblematico: “Dovevo educare un’AI, sono diventata una macchina”. Irina, infatti, deve insegnare a Annie – una chat bot che si occupa di case e aiuta a confrontare i prezzi degli affitti – a rispondere bene e a gestire situazioni complicate, in modo che non sia più necessario l’intervento degli agenti immobiliari in carne e ossa. (Continua a leggere dopo la foto)
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Inizialmente il lavoro sembra andare bene. Racconta Cecilia Sala: “Irina Teveleva lavora 5 ore al giorno e la paga è buona. Quando però l’azienda che gestisce Annie viene venduta, le cose iniziano a cambiare: le ore di lavoro aumentano e l’azienda decide di punire chi non risponde entro due minuti alle domande dei clienti. Irina inizia a notare che il suo modo di organizzare i pensieri sta diventando sempre più meccanico e anche se in teoria avrebbe del tempo libero per scrivere, ha sempre meno idee: sta perdendo la vena creativa, non riesce a concentrarsi e i suoi pensieri assomigliano sempre più a quelli di un automa”. (Continua a leggere dopo la foto)
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Irina perde tutto, perde la vita, il tempo libero, la sua amata scrittura. Perché interagisce sempre e solo con Annie, la rende sempre più precisa, più puntuale, più umana. Doveva educare lei la macchina dell’intelligenza artificiale, finisce Irina Teveleva stessa per essere la macchina. “Gestire Annie ha creato una sorta di transfert”, racconta la ragazza. Al di fuori del suo turno ha difficoltà a concentrarsi, diventa arida, schematica e, soprattutto, aveva cominciato in modo meno raffinato, cioè a parlare come Annie. Alla fine, si è ritrovata a usava le risposte da chatbot anche nella vita di tutti i giorni, parlando con sua madre, con sua sorella, con i suoi amici. E a ripete continuamente, proprio come Annie, la frase “fammi sapere se funziona”. Questa storia ci dice molto dell’intelligenza artificiale, del presente e del futuro che è già qui. Al di là e al di qua della macchina. Lo vogliamo veramente?
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