Siamo al delirio, o forse ben oltre. Ecco che succede quando si avvelenano i pozzi, come suol dirsi: oltre due anni di massiccia copertura mediatica accordata a ciarlatani, disfattisti e catastrofisti del Covid hanno lasciato pesanti strascichi. E così può capitare, ed effettivamente è capitato all’ospedale “Alessandro Manzoni” di Lecco, che il primario chiami il 112 perché un infermiere si era momentaneamente tolto la mascherina. Per bere e per mangiare un biscotto (uno). La notizia è talmente bizzarra che, pur non stupendoci oramai più di nulla, all’inizio dubitavamo della sua attendibilità. Invece è tutto vero. Leggiamo, tra gli altri, su AssoCareNews, il bollettino sulle professioni sanitarie, che i fatti risalgono allo scorso giovedì 17 agosto. Il primario ha tempestivamente contattato le Forze dell’ordine al numero unico per le emergenze 112. Se la polizia si è prontamente recate presso l’ospedale è solo perché gli agenti addetti allo smistamento delle emergenze avevano equivocato: il racconto concitato del primario era stato interpretato come una richiesta di aiuto dinanzi alle escandescenze di qualche parente di un qualche malato, come purtroppo molto spesso accade. (Continua a leggere dopo la foto)
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L’intervento della polizia
Una volta sul posto, i poliziotti hanno dovuto rassicurare il paranoico primario, spiegandogli che al momento, e per fortuna, non indossare la mascherina non costituisce un reato e la sua azione non ha rappresentato un pericolo per la salute pubblica. Proprio così: l’hanno dovuto spiegare i poliziotti, a un dirigente medico. Al di là del panico ingiustificato, assolutamente ingiustificato se consideriamo che persino per l’Oms lo stato di emergenza legato al Covid è ufficialmente terminato, tutt’al più l’unica possibile conseguenza potrebbe essere un’infrazione disciplinare. (Continua a leggere dopo la foto)
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Una “pausa legittima”
Eppure, nemmeno questo è certo: l’azione dell’infermiere, infatti, potrebbe essere stata motivata da una breve pausa lavorativa, come lui sostiene, ed ecco perché la Aadi (Associazione avvocatura degli infermieri), ha inteso fornire la sua assistenza legale al povero infermiere. Lo difenderà dall’accusa di aver violato il protocollo anti-Covid, sostenendo appunto che il gesto è avvenuto durante una legittima pausa lavorativa.
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