di Gianluigi Paragone.
In questi giorni di vacanze mi sono concentrato su tre libri: “Furore” di Steinbeck (riletto per la terza volta), “Ho ucciso Enrico Mattei” di Federico Mosso e “La Dismissione” di Ermanno Rea. Mi sono costruito una specie di trilogia del lavoro; è un gioco letterario che spesso assemblo.
Furore è una scarica di adrenalina, una botta allo stomaco, è carne viva a prescindere dalle stagioni. È una lotta impari tra disperati che accresce di intensità nei momenti di depressione, di trasformazioni, di emergenza. È il racconto senza tempo del cannibalismo finanziario, dei signori delle banche che mandano altri disperati con la trattrice a buttar giù le case di chi non paga e dev’essere sloggiato con ogni mezzo. “Ma ci sarà pure un presidente, una direzione; io prendo il fucile e vado alla banca a fare una carneficina”, urla il vecchio Joad all’uomo sulla trattrice, pronto a eseguire gli ordini. Il quale gli spiega che tutti ricevono ordini da qualcun altro che ha un potere di ricatto sempre maggiore. È una sfida tra ultimi e Steinbeck la sa rappresentare meravigliosamente, saldando vecchie e nuove depressioni. Ieri la trattrice, oggi l’ordine esecutivo di sloggio forzato: famiglie indebitate, esecutate e che in mezzo alla crisi saranno sbattute fuori casa perché la banca ha titolo per farlo. Nuovamente, con le riforme della giustizia inserite nel Pnrr.
Il Pnrr come alito generatore di nuova vita sempre che l’industria e il lavoro accettino il patto con diavolo. Prendiamo la spinta verso l’elettrico: che fine faranno i distretti del Motor Valley? Chi produce componentistica dei motori non ha (ancora) capito quanto per lui siano velenosi i soldi marchiati Ue. Un esempio tra tanti.
E’ un altro colpo mortale ai danni dell’Italia colpevole di avere troppi imprenditori bravi, anche furbi certo, ma di grande valore. Per farla uscire dalla emergenza Covid, l’Europa offre un altro patto faustiano: quattro soldi in cambio della tua anima.
L’Italia torna nel vortice dei grandi giochi internazionali, gli stessi che risucchiarono Enrico Mattei e il suo sogno di una Italia indipendente nelle risorse energetiche e quindi potenza industriale. Che moto rileggere la stagione eroica di un Potente che aveva una visione di Italia e di Stato, diventato troppo indipendente e spregiudicato per stare ai tavoli che contano. Ecco, quei tavoli oggi cambiano dimensioni ma il gioco al massacro contro di noi pare avere sempre delle carte che girano e giocatori loro complici. Ci hanno bruciato e ci siamo fatti bruciare. Ieri come oggi.
E quindi “la Dismissione” dello straordinario Ermanno Rea: una via crucis nel segno dell’Ilva, qui di Bagnoli ma che oggi ha Taranto come calvario. E non solo Taranto, perché l’industria pesante è al centro di giochi intrecciati che questo autunno torneranno prepotentemente alla ribalta con le crisi aziendali, prima dei grandi gruppi internazionali cui non frega nulla del quadro sociale e occupazionale e a seguire dei gruppi più piccoli incistati nelle filiere produttive.
La letteratura nella sua combinazione di specchi incrociati offre la possibilità di poter correggere le rotte, di poterle reimpostare al netto delle immagini deformate. Non sarà il Green Pass a tenere in vita impresa e lavoro! Le crisi non sono di per sé una opportunità se non si trova il bandolo della matassa da dove ripartire; a me invece sembra che ripetano gli stessi errori, nel tentativo di salvarsi più che di salvare e rilanciare. Sono mesi che abbiamo fatto finta di non vedere che l’economia ha bisogno della sua dimensione reale oltre che finanziaria; invece il governo ha deciso – nello spirito che è proprio di Draghi – di non includere nel suo planning la dorsale delle micro aziende e delle pmi. A settembre però la rabbia di chi non vuole essere assistito ma vuole continuare a fare impresa e promuovere lavoro diventerà un problema. Per un ministro incapace di controllare l’immigrazione, questa rabbia sarà benzina sul fuoco.