Pensavamo, più che altro speravamo, di esserci lasciati alle spalle l’odioso Green pass, quel lasciapassare che andava esibito per esercitare qualsivoglia tipo di attività, fonte di enormi (e incostituzionali) discriminazioni per chi – legittimamente – avesse deciso di non vaccinarsi. Eppure, siamo stati ingenui: un simile e portentoso strumento di controllo in pieno stile cinese, docilmente accettato dalla maggioranza dei cittadini europei, non poteva non far gola ai signori di Bruxelles e sta, dunque, per tornare. Non ora, non in quelle forme, non per ragioni sanitarie. Ma sta tornando. Basti leggere le dichiarazioni della baronessa von der Lyen all’ultimo G20 di Nuova Delhi. Richiamando gli Stati europei, che forse hanno ben altri problemi, a un più celere sviluppo dell’identità digitale, di cui abbiamo già scritto, la presidente della Commissione ha testualmente affermato che l’Unione europea prevede “l’introduzione di un sistema complessivo di controllo dei dati che dovrebbe essere utilizzato dall’80% dei cittadini entro il 2030”. I cittadini, così, saranno tracciabili in tempo reale nello svolgimento di qualsiasi loro attività. Una schedatura di massa, in definitiva. (Continua a leggere dopo la foto)
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Come funzionerà
Parlando, poi, di una infrastruttura pubblica “che sia interoperabile, aperta a tutti e affidabile”, von der Lyen ha portato proprio l’esempio del Green pass, rivendicandolo come una formidabile conquista europea, poi riprodotta in tutto il mondo. Un successo, insomma. In assenza di una emergenza, che sia vera o presunta, emergono ancora più nitide le ovvie criticità in termini di privacy, di cui però il Leviatano tecnocratico in cui l’Europa si è tramutata, in barba ai sogni dei suoi padri fondatori, pare non curarsi. Per quanto, invece, attiene all’altro grande rischio, un controllo sociale stringente e pienamente orwelliano, temiamo che sia proprio questo il vero obiettivo. L’Identità digitale europea dovrebbe essere utilizzata, tra le altre cose, per usufruire di servizi pubblici, aprire un conto in banca, presentare la dichiarazione dei redditi, iscriversi a un’università su tutto il territorio dell’Unione, noleggiare un’auto mostrando la patente digitale, fare il check-in in albergo. (Continua a leggere dopo la foto)
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I rischi, evidenti
L’evidente, preoccupante ed eventuale deriva è che i “divergenti” possano essere esclusi con un click dalla vita sociale, che poi è ciò che è accaduto in era Covid a chi non avesse il Green pass. Oppure, banalmente, se la nostra password venisse violata? Quesito non da poco quest’ultimo, dacché terze parti potrebbero rintracciare e sfruttare i dati delle persone, ed è precisamente sui Big data che si sta giocando una partita importante tra gli Stati Uniti e la Cina. Peraltro, non va neppure dimenticato che le aree più remote o impervie, sovente, non sono ben coperte dalle reti informatiche. Poniamo il caso, inoltre, di un eventuale black-out: che succederebbe? E, sullo sfondo, si staglia nitido lo spettro dell’euro digitale, un altro progetto cui si sta lavorando negli uffici più prestigiosi di Bruxelles. (Continua a leggere dopo la foto)
L’accelerata imposta da Bruxelles
A completare un quadro già a tinte fosche il ruolo del commissario Ue al Mercato interno, il francese Thierry Breton, già capo della task force europea per i vaccini e “padre” del famigerato certificato verde, che si sta occupando della identità digitale assieme alla ceca Vera Jourova, vicepresidente della Commissione europea responsabile per coordinare le politiche sui valori e la trasparenza. Quest’ultima parola, trasparenza, forse è stata interpretata in senso sin troppo lato. Il piano, come le parole di von der Lyen certificano, sta subendo una accelerata giacché il prossimo anno si terranno le consultazioni europee e l’idea pare essere, come scrive La Verità, di formalizzare il progetto prima del semestre bianco.
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