L’invio di armi all’Ucraina è compatibile con la nostra Costituzione? Una domanda che si stanno ponendo in tanti, in questi giorni concitati, con il conflitto scatenato dall’invasione russa ancora in corso. E alla quale ha cercato di dare una risposta il costituzionalista Michele Ainis, ordinario di Diritto Costituzionale di Roma Tre. Alle pagine del Fatto Quotidiano, l’esperto ha spiegato: “Se adottiamo il punto di vista dei costituenti del ’47, non c’è dubbio che avrebbero fortemente dissentito con una co-belligeranza, anche se questa si traduce, come accade oggi, con l’invio di armi e non di eserciti. Questo è pacifico”.
“Se andiamo a guardare i manuali di Diritto costituzionale del primo dopoguerra – ha spiegato Ainis – è chiaro che l’unica guerra ammissibile è quella difensiva rispetto alla nostra integrità territoriale. Eppure l’esercito italiano ha combattuto molte guerre oltre confine: in Libano, Somalia, Iraq, Bosnia, Afghanistan, Libia. E, con i bombardamenti in Kosovo, nel 1999”. Un problema che si era posto anche con l’adesione italiana alla Nato: “C’è stato un lungo tempo in cui era chiarissimo che nessuna guerra fuori dai nostri confini fosse legittima. Poi c’è stato un secondo tempo in cui, grazie anche all’uso delle parole – ‘missione di pace’, ‘intervento umanitario’ – le cose sono cambiate”.
A chi obietta che, essendo legittima la guerra di difesa, anche quella ucraina sarebbe altrettanto legittima, Ainis ha risposto: “I costituenti si riferivano all’invasione del nostro territorio. Altrimenti ogni volta che uno Stato ne aggredisce un altro (e nelle guerre succede quasi sempre) dovremmo intervenire, per obbligo costituzionale. Come si usa dire, l’argomento prova troppo”. L’aumento di spese militari, invece, “si inscrive in una zona costituzionalmente neutra, nel senso che non esiste divieto. Certo però che se l’aumento delle spese militari diventasse talmente sproporzionato da pregiudicare i diritti sociali, allora sì ci sarebbero dei problemi di legittimità. Altro è darne una lettura politica: se me lo chiede, rispondo che a me personalmente non piace”.
Per quanto riguarda l’eventualità di un processo presso la Corte penale dell’Aja, il costituzionalista ha invece spiegato: “Né gli Stati Uniti, né la Russia, né l’Ucraina riconoscono la Corte dell’Aja. Questo vuol dire che c’è bisogno di modificare l’ordine normativo internazionale, figlio della situazione di ottant’anni fa e prigioniero del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Per formulare l’accusa di crimine di aggressione davanti alla Corte dell’Aja occorre un via libera del Consiglio di Sicurezza: naturalmente la Russia non lo permetterebbe mai”. Infine sull’articolo 52 (“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”: “Si parla di difesa, così come l’articolo 11 ammette la sola guerra difensiva. Sono due articoli che fanno sistema. E si riferiscono alla nostra patria, non a quella altrui”.
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