In medicina si chiama Effetto paradosso. Declinato sulle terapie attuate durante l’emergenza da Covid-19, si precisa nell’enorme e anomalo numero di decessi, o di effetti collaterali gravi, tra coloro che – ci dicevano – grazie al vaccino avrebbero dovuti essere immuni: il siero magico, in teoria, avrebbe dovuto evitare infezione e contagio, ma possiamo serenamente affermare che ciò non è avvenuto. La conferma, ufficiale e inattaccabile, avrebbero potuto fornircela le autopsie dei morti di Covid ma, come sappiamo, sono state vietate dall’Aifa. Deliberatamente. E purtroppo il muro di gomma dell’omertà (non ci viene un altro termine) è tale che “una nota scienziata italiana”, con decenni di carriera alle spalle e numerose pubblicazioni scientifiche, è costretta a ricorrere all’anonimato per illustrare a Patrizia Floder Reitter de La Verità le falle del vaccino e della campagna di inoculazione di massa. Il paradosso di cui sopra, dunque il numero assoluto di infezioni, ospedalizzazioni e decessi tra i vaccinati, si spiega anzitutto col fatto che il tipo di anticorpi indotti dalle dosi “ha aggravato i sintomi del virus”: perciò, aggiunge, “sono state evitate le autopsie”. Il fatto che il 70% di morti di Covid nell’ultimo anno avessero almeno tre se non quattro dosi non fa che avvalorare tale tesi. (Continua a leggere dopo la foto)
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Le sindromi post-vaccino
D’altronde anche oggi, a emergenza ufficialmente terminata, come decretato dalla stessa Oms il 5 maggio, non c’è la volontà di fare chiarezza: l’avvocato Lorenzo Malacarne, per ordine del Tar del Lazio, è riuscito a ottenere dal ministero della Salute un database pressoché inutile, tra numeri sbagliati, dati parziali, morti post-vaccino che mancano all’appello. Tornando alla scienziata anonima, parla di una particolare sindrome post-vaccino denominata ADE, acronimo per Antibody-dependent enhancement, un’eccessiva risposta immunitaria che ha portato a un danno al tessuto polmonare. Si è prodotto, dunque, uno squilibrio “tra anticorpi neutralizzanti e non neutralizzanti”. Il virus, sin dalla sua prima comparsa, ha conosciuto numerose mutazioni, laddove i vaccini inoculati dal 2021 sino a poco tempo fa erano, invece, tarati sul ceppo originario. Inoltre – e negli ultimi tre anni è stato ribadito da più parti, ma nel silenzio della cosiddetta comunità scientifica –, durante una epidemia o una pandemia una campagna vaccinale a tappeto può, piuttosto, rivelarsi controproducente, quasi esiziale, giacché “impedire la circolazione del virus potrebbe favorire la selezione di varianti più aggressive”. (Continua a leggere dopo la foto)
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Vaccino antinfluenzale, un altro allarme
Non è tutto, purtroppo, perché ancora La Verità pubblica un secondo articolo, stavolta a firma di Stella Contoni, che desta un certo allarme circa i potenziali rischi del vaccino antinfluenzale distribuito pure in Italia, che potrebbe riattivare un virus sparito da tre anni perché “ucciso” dal coronavirus. La denuncia è del sito specializzato Ars Technica e il ceppo mancante è il lignaggio influenzale di tipo B Yamagata (noto anche come B / Yamagata), uno dei soli quattro virus influenzali presi di mira dai vaccini annuali. Non ci sono stati rilevamenti confermati di B/Yamagata in tutto il mondo da marzo 2020. Entra in gioco, in questo caso, la distinzione tra vaccini trivalenti e quadrivalenti. Nei vaccini trivalenti manca il ceppo estinto, pertanto sarebbero quelli da preferire. Il (grande) problema è che molti dei vaccini antinfluenzali, come detto anche in Italia, sono quadrivalenti, mirati cioè a quattro ceppi: i due tipi As e sia B / Victoria e, appunto, B / Yamagata. A peggiorare oltremodo il quadro è il fatto che i produttori di vaccini quadrivalenti hanno in gran parte solo licenze per produrre vaccini quadrivalenti e non quelli trivalenti. E, in ogni caso, per ragioni tempistiche non si riuscirebbe a elaborare un nuovo vaccino antinfluenzale per la stagione fredda del 2023-2024. Infatti, le licenze relative sono sospese e, lo ribadiamo, la fase della procedura regolatoria richiede diversi mesi.
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