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“Ecco con cosa curavano i bambini malati di tumore”. La scoperta nei due ospedali d’eccellenza in Italia

Pubblicato il 29/06/2023 18:21

Sta per esplodere uno scandalo gigantesco, e oramai impossibile da “insabbiare”, intorno a ben 16 ospedali italiani, tra cui, come vedremo, delle strutture d’eccellenza. Le accuse sono di una gravità estrema, se troverà conferma la denuncia del sito online online Politico.eu, che solitamente è molto ben informato: in sostanza, i piccoli pazienti di oncologia pediatrica venivano “curati” sin dal 2016 somministrando farmaci antitumorali non approvati dall’Unione europea in ragione della loro stessa “scarsa qualità”. La fonte del portale online è The Bureau of Investigative Journalism (TBIJ), fondato nel 2010 dai giornalisti britannici David ed Elaine Potter. La prescrizione più controversa è quella del Celginase, che dalla lettura de La Stampa scopriamo essere un marchio di asparaginasi (un enzima che agisce sui fattori della coagulazione) usato per trattare la leucemia linfoblastica acuta, la forma più comune di cancro infantile. (Continua a leggere dopo la foto)
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Il farmaco incriminato e gli ospedali coinvolti

Ebbene, Celginase è prodotto e approvato in India e costa infinitamente meno del marchio originale, l’Oncaspar: appena 13 euro a fiala rispetto a circa 2.500 euro dell’originale. E non si tratta di un problema solo italiano. Nel mese di gennaio, lo stesso Bureau of Investigative Journalism e il sito americano di notizie sulla salute STAT hanno rivelato che marchi di asparaginasi di scarsa qualità, tra cui Celginase, sono stati spediti in più di 90 Paesi dal 2016, mettendo a rischio circa 70.000 bambini in tutto il mondo. Quello che fa specie è leggere i nomi degli ospedali italiani coinvolti in questo scandalo, anzi i soli due nomi sinora trapelati tra i 16 ospedali: tra i centri coinvolti nell’uso dei farmaci “low cost”, l’Istituto Nazionale Tumori di Milano e il San Camillo Forlanini di Roma, strutture altresì prestigiose e all’avanguardia. Interloquendo con il ministero della Salute italiano, i giornalisti hanno scoperto, infatti, che “almeno 16 ospedali, tra cui l’Istituto Nazionale Tumori di Milano e il San Camillo Forlanini di Roma, hanno importato nel Paese centinaia di fiale di Celginase in oltre un periodo di sette anni“. Già nel 2018, inoltre, era stata documentata in Italia la diffusione di un altro marchio considerato scadente, l’Aspatero, anch’esso usato per la cura di alcune forme di cancro nei bambini. L’ospedale interessato, di cui Politico non fornisce il nome, ha affermato che la richiesta di importazione di Aspatero è stata autorizzata dall’autorità italiana di regolamentazione dei farmaci e che non farlo avrebbe “ridotto le possibilità di guarigione dei bambini”. Non è noto quanti malati di cancro possano aver avuto effetti collaterali negativi o minori possibilità di remissione della malattia e molte di queste fiale si trovino ancora oggi sugli scaffali degli ospedali. (Continua a leggere dopo la foto)
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farmaci antitumorali scadenti

Come è potuto succedere? Il vuoto normativo

In Italia, se c’è carenza di un determinato farmaco, medici e farmacisti possono chiedere all’autorità italiana di regolamentazione dei farmaci di autorizzare l’importazione dello stesso prodotto da un altro Paese. Questo in fondo è comprensibile, ma non di certo a detrimento della qualità delle cure fornite. Politico sostiene che, nel caso del Celginase, diversi “studi accademici pubblici hanno rilevato che tale farmaco non soddisfa gli standard minimi di produzione o raggiunge la soglia di attività clinica per il trattamento del cancro”. Costerà anche poco, ma è inutile e rischioso, pur se le falle del nostro sistema sanitario ne hanno consentito la prescrizione. Inoltre, secondo TBIJ e Politico, il Celginase è stato importato in Italia attraverso la Svizzera anche quando l’Oncaspar era disponibile. Stando alla normativa europea attuale, gli ospedali possono ordinare dei medicinali non autorizzati in casi eccezionali, in particolare quando si verifica una carenza nell’approvvigionamento che può mettere a rischio il trattamento dei malati più a rischio.

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