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MMT: la cassetta degli attrezzi per smontare le follie del mainstream economico

Pubblicato il 28/07/2020 15:16

di David Lisetti.

Ultima parte di un articolo in quattro parti. 

Il seguente articolo presenta la quarta ed ultima parte di una serie di contenuti che traggono ispirazione dalle ricerche del professore della teoria monetaria moderna (modern monetary theory, MMT), Bill Mitchell. 

Nella prima parte di questa trattazione abbiamo analizzato lo strumento di manipolazione dei contenuti economici, ovvero il “frame”, specificando come la realtà economica che ci viene proposta non è l’unica possibile ma che esiste un’alternativa che può garantire innumerevoli vantaggi alla collettività ed al nostro paese. 

Nella seconda parte abbiamo analizzato le motivazioni alla base della forza narrativa del mainstream economico e perché tale approccio economico ha così tanta presa sul pubblico.

Nella terza parte siamo entrati nel vivo delle argomentazioni economiche del mainstream contrapponendole, all’innovativo approccio della teoria monetaria moderna. 

Con questo quarto ed ultimo articolo continuiamo il lavoro iniziato nella terza parte, in cui abbiamo analizzato quattro affermazioni false del mainstream, andando a smontare pezzo per pezzo tutta una serie di altre affermazioni del mainstream che, come vedremo, sono ugualmente false. Buona lettura! 

Affermazione n. 5: i deficit alzano lo spread e tolgono soldi ai privati poiché competono con questi ultimi per i risparmi depositati 

Questa è una particolare versione dell’affermazione 2

Innanzitutto, il deficit stimola la crescita e il risparmio privato così come la crescita del reddito nazionale da cui proviene. 

Secondo, i fondi che il governo prende in prestito dal settore non governativo hanno origine dalle attività finanziarie nette create dai precedenti deficit. 

Terzo, i prestiti delle banche non sono limitati dalle riserve che detengono; le banche, infatti, elargiscono credito a qualunque cliente che presenti i requisiti, indipendentemente da quante riserve hanno a disposizione. Se le banche sono a corto di liquidità le potranno sempre trovare sul mercato interbancario; e in ultima istanza, possono prenderle in prestito dalla banca centrale. 

La storia ci mostra che il Giappone ha registrato ampi deficit sin dai primi anni Novanta, mantenendo al contempo interessi zero e bassa inflazione. Oltre ciò, i deficit di bilancio sono aumentati ampiamente nei recenti anni in parecchie nazioni, ma i tassi di interesse si sono mantenuti vicini allo zero. La realtà è che sono le banche centrali a gestire i tassi di interesse, non i mercati; l’evidenza di ciò ce l’abbiamo sotto gli occhi: quando la BCE si è decisa (in modo tardivo) a contenere gli spread, questi ultimi sono diminuiti all’istante. 

Oltretutto i deficit spingono in basso i tassi di interesse. L’emissione di titoli serve principalmente alle banche centrali per mantenere positivi i tassi di interesse, fornendo agli investitori attività che fruttano interessi e drenando al contempo le riserve in eccesso nel sistema bancario risultanti dalla precedente spesa in deficit del governo. Se queste riserve non fossero drenate (come nel caso in cui il governo non prenda in prestito) in circostanze di deficit pubblico, i tassi di interesse interbancari si ridurrebbero (a causa della competizione tra banche, per liberarsi delle riserve non profittabili) e ciò potrebbe compromettere gli obbiettivi di governo della banca centrale sui tassi, a meno che non venga offerto un interesse sulle riserve in eccesso; questo risponde anche alla relativa affermazione secondo cui un governo con moneta sovrana rischierebbe l’insolvenza se il suo rapporto debito/PIL salisse sopra una certa soglia: fintanto che il governo è il monopolista dell’emissione di quella valuta e denomina il proprio debito nella stessa, non promettendo convertibilità fissa con oro o altre valute, il rischio di insolvenza è pari a zero. 

Implicazioni:

  • il debito pubblico è usato come strumento in una strategia di mantenimento di tassi di interesse positivi nell’economia da parte delle banche centrali e non serve a finanziare la spesa pubblica; 
  • non c’è nessun rischio di default per un governo che emette un debito nella propria valuta; 
  • i governi che emettono la propria valuta non hanno necessità di prenderla in prestito. 

Affermazione n. 6: più alto è il deficit più alte sono le tasse

Le tasse hanno molteplici scopi (ridimensionare il potere d’acquisto dei privati, ridurre il consumo di prodotti e servizi dannosi come ad esempio il tabacco ecc.) ma nessuno di questi comprende il finanziamento della spesa pubblica. 

Nei sistemi a moneta sovrana, dove la moneta non ha valore intrinseco (aggancio con beni reali come l’oro), la funzione primaria della tassazione è di promuovere l’offerta da parte di privati dei beni e servizi al governo, in cambio dei necessari fondi per estinguere le passività fiscali. La questione cruciale è che il denaro necessario a pagare le imposte è fornito ai cittadini dalla spesa pubblica. Coerentemente con ciò, la spesa pubblica, se sufficiente, crea lavoro stipendiato eliminando la disoccupazione creata dalle tasse. 

Un altro modo di esprimere questo ruolo delle tasse è quello di riconoscere che privando il settore privato del potere di acquisto si riduce la domanda aggregata lasciando alla spesa pubblica il margine necessario per mobilitare risorse reali senza incorrere nell’inflazione.

Compreso ciò: ogni Stato può scegliere liberamente il livello di tassazione da pagare, che viene determinato attraverso un processo politico e democratico, tenendo in considerazioni le dimensioni del governo e le risorse reali mobilitate. 

I deficit pubblici passati non devono essere assolutamente ripagati dalla generazione odierna e di conseguenza i deficit pubblici registrati oggi non dovranno essere pagati da quelle future.

Quindi, l’affermazione secondo cui i soldi dei cittadini non andrebbero “sprecati” non ha alcun senso in quanto implica erroneamente che le tasse servano a comporre l’ammontare della spesa pubblica. 

Conseguentemente:

  • i soldi dei contribuenti non finanziano la spesa pubblica; 
  • le tasse servono a ridurre la capacità del settore privato di disporre di beni e servizi per rendere possibile il loro utilizzo da parte dello Stato.  

Affermazione 7: il governo finirà i soldi! 

È correlata alle affermazioni 1, 5 e 6. I politici spesso affermano che il governo rimarrà “a corto di soldi” se non frena la spesa pubblica; appellandosi alla nostra intuizione ed esperienza, tracciano un’analogia tra il bilancio delle famiglie e quello di uno Stato, traendone la conclusione che uno Stato, esattamente come una famiglia, debba vivere entro quelle che sono “le proprie possibilità”. Questa analogia fa molto effetto sugli elettori, che sanno bene come funziona il proprio bilancio familiare: sappiamo tutti che non possiamo aumentare esponenzialmente i nostri debiti personali e che dobbiamo limitare l’uso della carta di credito; possiamo fare debiti oggi per aumentare la nostra spesa corrente, ma dovremo sacrificare la nostra spesa di domani per poter ripagare il debito; sappiamo intuitivamente che non possiamo vivere indefinitamente al di sopra dei nostri mezzi. 

Come ricordato precedentemente, però, uno Stato che emette la propria moneta non ha limiti di spesa e non può finire i propri soldi. Il limite di spesa è dunque più coerentemente identificabile con la disponibilità di beni e servizi reali in vendita nella valuta del paese in questione. Queste sono le “possibilità” a disposizione del governo per raggiungere i propri obiettivi socio-economici. Un governo che emette la propria moneta può sempre permettersi tutto ciò che è in vendita in quella valuta. 

Tutto ciò si collega anche alle affermazioni riguardanti la presunta insostenibilità delle spese pensionistiche e sociali di una popolazione sempre più anziana. Le finanze di uno Stato che emette la propria moneta sono sempre pienamente sostenibili: possono sempre permettersi di  fornire un’assistenza sanitaria di prima classe e pensioni adeguate ai nostri genitori. 

Una variante di questa affermazione è che i nostri figli si ritroveranno sulle loro teste migliaia di euro di debito pubblico nel momento in cui i deficit pubblici dovranno essere ripagati. Ma il vero fardello che lasceremo ai nostri figli riguarderà in concreto tutti i debiti reali che gli lasceremo in termini di disservizi, carenze infrastrutturali ed inquinamento; questi sono i debiti reali di cui ci si dovrebbe sinceramente allarmare e ai quali possiamo porre rimedio solo con robusti investimenti pubblici effettuati attraverso il deficit pubblico. 

Implicazioni:

  • lo “spazio fiscale” di uno Stato non è definibile in termini di un predeterminato rapporto finanziario (deficit/PIL); 
  • lo “spazio fiscale” è determinato dalle risorse reali disponibili, in senso ampio,  affinché il governo sia in grado di utilizzarle per i fini dei propri programmi socio-economici. 

Affermazione n. 8: la spesa pubblica crea inflazione 

Ogni spesa (pubblica o privata), se aumenta la domanda aggregata più della capacità dell’economia di assorbirla, può creare inflazione. Un aumento della spesa pubblica determina inflazione se ci sono risorse reali inutilizzate che possono essere inserite nel processo produttivo (ad esempio i disoccupati). 

Questa affermazione è correlata a quella secondo cui l’acquisto di titoli pubblici da parte della banca centrale svaluterebbe la moneta e sarebbe più inflattiva della vendita di titoli al settore privato. La verità è che non ci sono differenze nel rischio inflattivo collegato ad un particolare livello di spesa pubblica netta tra finanziarsi presso la propria banca centrale e finanziarsi presso gli investitori privati. Gli acquisti di titoli riflettono decisioni di portafoglio su come indirizzare la ricchezza privata. Se i fondi che vengono usati per l’acquisto dei titoli fossero spesi in beni e servizi, in mancanza dunque di un’alternativa finanziaria, avremmo un deficit più basso. Secondo, la fornitura del credito da parte della banca centrale (in cambio dei titoli di Stato) sarebbe inflattiva solo se non vi fosse “spazio fiscale” (nell’accezione spiegata nell’affermazione n. 7). 

Gli esempi di iperinflazione come la Germania degli anni ’20 e lo Zimbabwe nei giorni nostri non costituiscono prova di deficit inflattivi. In entrambi i casi, testimoniano una grave riduzione della capacità produttiva dell’economia a cui seguirono episodi di inflazione. 

Implicazioni:

  • ogni tipo di spesa può avere rischi inflattivi e l’emissione di titoli di Stato ai privati non mitiga i rischi associati alla spesa pubblica;
  • i deficit pubblici dovrebbero mirare a riportare le risorse inutilizzate nel processo produttivo;
  • i limiti per una spesa pubblica non inflattiva sono le risorse disponibili.  

Affermazione n. 9: i deficit pubblici portano allo statalismo

I deficit pubblici possono riflettere sia approcci politici che puntano ad uno Stato molto presente nell’economia che ad approcci in cui il governo è ridotto ai minimi termini lasciando di conseguenza ampio spazio ai soggetti economici privati. Anche Stati a raggio d’azione ridotto hanno bisogno di effettuare continui deficit se c’è la volontà soprattutto da parte dei privati cittadini di accantonare risparmi e una politica mirata a mantenere livelli di piena occupazione e alto reddito nazionale. 

La teoria economica non dovrebbe specificare una dimensione di governo ottimale; questa scelta deve rimanere appannaggio della sfera democratica e politica di un determinato paese. Le funzioni del governo rifletteranno le preferenze della popolazione riguardanti forniture di beni, servizi ed infrastrutture. 

Implicazioni:

  • la dimensione del governo è una scelta politica, non una necessità economica;
  • anche governi minimi debbono generalmente incorrere  in deficit continui per mantenere la piena occupazione. 

Con quest’ultima affermazione vogliamo al termine di questa lunga trattazione che, con la redazione ilParagone.it, abbiamo deciso di dividere in quattro articoli. 

Spero vivamente di non avervi annoiato troppo e che i concetti siano risultati chiari. Quello che ho cercato di trasmettervi è che la MMT può fornire una descrizione solida ed accurata di come realmente operano i moderni sistemi monetari. Resta pur sempre una precisa analisi macroeconomica a prescindere che il contesto politico che gestisce l’economia sia guidato da un sistema di valori individualista o collettivista. 

La consapevolezza estesa di queste tematiche da parte della popolazione determina la capacità di influenzare a nostro favore il dibattito politico spostando l’equilibrio verso un modello di economia fatto a misura d’uomo. Se c’è consapevolezza economica risulta molto più difficile per i politicanti da quattro soldi continuare sul solco delle politiche di austerità e perpetuare decisioni come tagliare lo Stato sociale ed altri servizi pubblici; queste saranno viste a priori come scelte irresponsabili le cui uniche motivazioni risiedono nel privare i nostri figli del futuro e nel limitare la capacità dei membri più vulnerabili della nostra società di esprimere appieno le loro potenzialità.