Doveva essere una manna dal cielo, rischia di essere una mannaia. Il Recovery Plan, come ampiamente detto sin da quando se ne iniziò a parlare le prime volte, è un coacervo di fregature. Dove i contro superano di gran lunga i pro, un classico quando c’è di mezzo l’Ue. A spiegare le insidie di questo piano e i motivi per cui non risolleverà per nulla la nostra economia ci ha pensato, in una attenta analisi pubblicata su La Verità, Giuseppe Liturri: “191 miliardi di investimenti finanziati dalla Commissione a cui si aggiungono 31 del Fondo nazionale complementare e 13,5 del fondo React Ue. Sottraendo 53,2 miliardi che finanzieranno progetti già in essere, avremo circa 183 miliardi di investimenti aggiuntivi fino al 2026. Giusto per avere un paragone nel 2021 l’Italia emetterà titoli pubblici, tra rimborsi e fabbisogno aggiuntivo, per 597 miliardi”. (Continua a leggere dopo la foto)
Che vuol dire? 30 miliardi l’anno aggiuntivi per sei anni consecutivi, circa l’1,7% del Pil annuo, “sono quanto un Paese dovrebbe fare normalmente, a maggior ragione dopo un decennio di forte contrazione degli investimenti pubblici e dopo una recessione che non ha precedenti in tempi di pace. Una massa sicuramente significativa ma nulla che non sarebbe stato possibile fare, sin dalla scorsa primavera, senza mettere in piedi un infernale carrozzone burocratico che ci accompagnerà fino al 2026, per gestire il quale la Commissione assumerà altre
100 persone e dovrà lavorare ancora due mesi per approvare i piani, dopo altri otto passati in intense interlocuzioni informali con le strutture tecniche degli Stati membri”. (Continua a leggere dopo la foto)
Per ottenere quale risultato? Spiega Liturri: “Il Piano prevede che nel 2026 il Pil sarà più alto del 3,6% rispetto allo scenario base tendenziale, cioè registreremo un Pil più alto di circa 60/70 miliardi, a cui arriveremo a piccoli passi pari a circa 10/12 miliardi l’anno, costantemente meno dell’1% del Pil di ciascun anno. Sicuramente utile per il nostro Paese, ma molto lontano dall’impulso rapido e consistente che sarebbe stato necessario. E questo solo nello scenario migliore di un moltiplicatore cumulato di 1,2 tra investimenti e Pil, altrimenti la crescita sarebbe dimezzata”. (Continua a leggere dopo la foto)
Infine, Liturri ricorda come “la Commissione, prima di pagare, dovrà attentamente valutare il conseguimento degli obiettivi prefissati e basteranno le perplessità di un solo Stato membro per portare la questione davanti al Consiglio europeo in un confronto che promette di trasformarsi in una battaglia campale. Sorge quindi spontaneo il dubbio finale: è proprio il caso di finanziare il piano indebitandosi per 120 miliardi con la Ue solo perché avverrebbe a tassi più bassi di un Btp, senza però tenere conto del carico di condizioni, vincoli e burocrazia che graveranno quegli investimenti?”.
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