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Ecco perché il MES è una trappola, Borgonovo intervista l’economista Guzzi (VIDEO)

Pubblicato il 14/12/2023 17:46 - Aggiornato il 15/12/2023 09:54

Il Meccanismo europeo di stabilità, che conosciamo soprattutto con il suo acronimo MES o, al più, come Fondo salva-Stati, potrebbe serenamente essere ribattezzato Fondo “salva-banche”. D’altronde è oramai assai ben rodata la prassi dell’Unione europea di ammantare dei migliori propositi e delle più nobili intenzioni le misure più inique. Sì, perché il Mes rischia di essere un capestro per chi la abbia ratificato o, come nel caso italiano, per chi subisce pressioni quotidiane, interne ed esterne, perché lo ratifichi. Appena ieri il colpo di scena di Giorgia Meloni, che nell’Aula di Palazzo Madama ha sventolato il fax di Di Maio. Per capire le ragioni per cui parliamo di una trappola per gli Stati europei – tutti tranne uno, come vedremo – ci affidiamo alle riflessioni dell’economista Gabriele Guzzi, intervistato da Francesco Borgonovo per Radio Radio. Dapprima, a beneficio di chi non abbia dimestichezza con le tematiche economiche, Borgonovo chiede a Guzzi di ricostruire la storia del MES, istituito nel 2011 come risposta alla crisi del debito sovrano in diversi Paesi. (Continua a leggere dopo il VIDEO)
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Una “torsione antidemocratica”

Ma, di certo, non è stata una risposta improntata alla solidarietà, piuttosto caratterizzata dall’austerità, dal rigore e anche da una certa sfiducia reciproca: una “torsione antidemocratica”, la definisce l’economista Guzzi, già consigliere economico di Palazzo Chigi, e i primi risultati li abbiamo visti ai tempi della crisi greca. E sappiamo tutti come è andata a finire, ancora ricordiamo il vergognoso salasso a cui la culla della democrazia fu condannata. Le maggiori pressioni vennero da quegli stessi tedeschi oggi assai in difficoltà, e che dunque premono con rinnovato vigore sulla ratifica da parte dell’Italia. Ma ci arriveremo in seguito. Tornando al MES e al suo funzionamento, esso viene finanziato dai contributi degli Stati; poi, si indebita sui mercati e gira i prestiti ai Paesi, a tassi più alti. Potrebbe apparire un meccanismo virtuoso, ma, come detto, rappresenta invero una trappola: in cambio dei prestiti “si chiede condizionalità”, ovvero agli Stati (in teoria) sovrani vengono imposte quelle che sentiamo sempre chiamare “riforme strutturali”, che in realtà si declinano in “tagli alla Sanità, precarizzazione del lavoro, tagli alle pensioni, privatizzazione delle aziende di Stato”, ancora nelle considerazioni di Gabriele Guzzi. (Continua a leggere dopo la foto)
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Buoni e cattivi

Tant’ è che da nove anni nessuno Stato dell’eurozona chiede più l’intervento del MES, anche perché, e la cosa non è nota a tutti, esso pone delle condizioni e delle clausole anche in merito ai Titoli di Stato, al fine di “rendere più facile la ristrutturazione del debito”, che – tradotto per noi profani – significa che il Fondo denominato MES può tagliare il valore nominale dei Titoli, con l’evidente conseguenza di far perdere soldi ai risparmiatori che li avessero sottoscritti: il circolo vizioso sarebbe, poi, aggravato dal conseguente aumento dei tassi di interesse. Dunque, emergerebbe l’odiosa distinzione tra “Paesi buoni e Paesi cattivi”, non solo in base a criteri economici, ma soprattutto puramente politici, che renderebbe molto difficile l’accesso alle linee di credito agevolato per i Paesi ad alto debito, i “cattivi”. Inoltre, poiché il MES può dare una valutazione sul debito pubblico dei Paesi, come fosse una agenzia di rating: “Di fatto dai altro potere a un organismo internazionale di valutarti e influenzare i mercati, anche se non lo chiedi”. In termini di spread, sarebbe un suicidio. (Continua a leggere dopo la foto)

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Foto: il Cancelliere tedesco, Olaf Scholz

“Salvare le banche altrui”

Veniamo, ora, al punto nodale. Il MES ha il potere di agire anche come sostegno alle crisi bancarie. Detto brutalmente, dovremmo entrare nel MES “per salvare le banche altrui”, sintetizza Borgonovo, e segnatamente le banche tedesche. Conferma Guzzi: “In Germania ad oggi c’è una crisi del sistema bancario legata al crollo del settore edilizio”, crollato negli ultimi tre anni, con la conseguenza della stretta al credito e il rischio contagio per colossi già in sofferenza come la Deutsche Bank. Ecco spiegata l’urgenza dei tedeschi, essi necessitano di “un paracadute per le loro banche, ma pagato con i soldi di tutti gli europei”. Socializzare le perdite, si dice in gergo finanziario. Ecco la pochezza politica dell’Ue, conclude Guzzi: “Un progetto fallito”.

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