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Dagli Usa un segnale chiaro: senza la Banca Centrale, le banche private falliscono. Un sistema fragilissimo

Pubblicato il 23/09/2019 15:58 - Aggiornato il 27/11/2019 19:06

di Emanuele Oggioni

Settimana scorsa si è consumato uno psicodramma nel mercato monetario degli Stati Uniti, il più liquido ed efficiente del mondo. Per diversi giorni la Federal Reserve, la banca centrale americana, ha iniettato fino a 80 miliardi di dollari al giorno, per più giorni, al fine di calmare il panico sul mercato interbancario, ossia del prestito tra singole banche, di brevissima durata, solitamente anche solo di un giorno (da cui il nome overnight).

I tassi d’interesse, tra le banche stesse, sono schizzati verso il 10%, quasi quintuplicando rispetto a poco più del 2% dei gironi precedenti, in linea con le soglie fissate per i Fed Funds: la fascia stabilita dalla Banca centrale è compresa tra il 2% e il 2,25%.

Tensioni precedenti si sono viste nel 2008, in piena crisi finanziaria. Gli esperti parlano di fattori tecnici, ossia il Tesoro americano che sta drenando liquidità sul sistema, o che la Fed stessa potrebbe aver ridotto troppo le riserve delle banche depositate presso di lei.

Al di là dei singoli fattori tecnici, si percepisce un senso di fragilità del sistema delle banche private, che non regge senza l’aiuto della propria banca centrale. La Federal Reserve è quindi intervenuta parecchi giorni creando dal nulla decine di miliardi di dollari di nuova liquidità per soddisfare la domanda da parte delle banche private.

E cosa potrebbe succedere ad un paese, come l’Italia, che non può più contare sulla propria banca centrale, ormai succursale della BCE?

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