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Tagli alla sanità, assenza di respiratori: così l’Italia è stata messa in ginocchio dal coronavirus

Pubblicato il 11/03/2020 10:57

Una battaglia difficile, complicata. Che da un lato esalta il coraggio di chi, medici e infermieri, combatte in prima linea per fermare la diffusione del coronavirus e dall’altro, invece, ci riporta tristemente a ragionare sui tagli alla sanità del passato che oggi pesano come macigni su un presente difficile, difficilissimo. A pesare è sopratutto, in questo momento, la mancanza di posti in terapia intensiva: in totale nel Paese ce ne sono 5.350, con un altro migliaio che potrebbe a breve essere attivato dalle misure di emergenza. In caso il numero di persone contagiate non smetta di crescere, però, potrebbero non bastare.

Le misure restrittive adottate nelle ultime ore dal governo fanno sperare in una rapida inversione di tendenza. Anche perché, in caso contrario, si rischierebbe a breve il collasso del sistema sanitario. E allora viene da chiedersi, in un momento così drammatico, se i tagli effettuati negli ultimi anni dalla spending review, circa 37 miliardi attribuibili a vari governi che si sono susseguiti, non siano stati una follia, un gravissimo errore di sottovalutazione. L’Italia, di fronte a un’emergenza come questa, ha pagato a caro prezzo le scelte della sua classe dirigente. In queste ore a rilanciare l’allarme era stato il direttore generale della sanità lombarda Luigi Cajazzo: “Se non adottiamo misure ancora più restrittive, prima della fine di marzo avremo un numero di pazienti critici superiore alla nostra capacità”.

A spaventare sono i numeri attuali, non quelli ipotetici che si basano su stime e previsioni. Il nostro Paese in queste ore ha superato la Corea del Sud nella triste classifica delle diffusioni del coronavirus, posizionandosi al secondo posto in graduatoria come Stato più colpito subito dopo la Cina. E poi ci sono i decessi: tanti, 463, superiori a tutto il resto d’Europa. Un dato difficile da spiegare, per il quale non basta sottolineare l’anzianità media della nostra popolazione. Carlo La Vecchia, ordinario di epidemiologia all’Università degli Studi di Milano, spiegava sulle pagine de La Verità: “Quello che fa la differenza sono i Cpap, i sistemi di respirazione assistita che permettono di evitare il ricovero in terapia intensiva a chi sviluppa la polmonite. Sono dispositivi necessari, ma noi non li abbiamo”.

Il resto d’Europa, stando alle stime, potrebbe trovarsi nelle condizioni dell’Italia in pochi giorni. Ma proprio quel centinaio di ore ancora a disposizione potrebbe fare la differenza, evitando a Spagna, Germania e Francia di trovarsi a vivere una situazione difficile come la nostra. Non si sa, però, quando la diffusione avrà effettivamente fine: “Ne avremo per almeno altri due mesi, se non cambiamo le nostre abitudini e non iniziamo a isolarci” è la previsione di La Vecchia. Il conto, di qui all’estate, potrebbe essere dolorosissimo. Come doloroso è chiedersi se davvero non fosse possibile fare qualcosa di più, in tutti questi anni.

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