Putin ha sfornato la contromossa. L’idea di farsi pagare il gas in rubli ha sconvolto tutti i suoi principali clienti. Ora, nonostante il crollo dei primi giorni di sanzioni, la moneta russa torna a guadagnare sull’euro. Le sanzioni funzionano oppure ci stiamo dando solo la zappa sui piedi?
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Sale il rublo
Sono passati 28 giorni dall’invasione dell’Ucraina e dal conseguente crollo della borsa russa (-33% in un solo giorno). Oggi, però, il discorso è molto diverso: la Borsa di Mosca riapre gli scambi su alcuni principali titoli azionari, lunedì erano state riaperte le contrattazioni dei titoli di Stato. Il dollaro è ritornato sotto i 98 rubli, ancora il 18% più caro del 24 febbraio, ma ha ormai azzerato tutti i guadagni (il 7 marzo era a +100%) fatti dopo l’imposizione delle sanzioni.
Sanzioni aggirate
Quel che è certo è che non ci sarà un rapido collasso dell’economia russa. Il motivo? Le sanzioni, per avere la massima efficacia sperata, avrebbero dovuto colpire non solo le riserve valutarie della Banca centrale, ma anche gli afflussi di nuova valuta derivante dalle esportazioni. Ovviamente ciò non è stato possibile a causa dell’eccessiva dipendenza dell’economia europea dal gas russo, che ha fatto escludere il commercio del petrolio e del gas dal blocco dei pagamenti. Inoltre, non tutti i Paesi del mondo hanno imposto le medesime sanzioni e questo ha permesso alla Russia di avere un “cassetto” di export per un valore vicino al 55% delle esportazioni totali.
Altro che default
Putin non è certo uno sprovveduto e la banca centrale di Mosca, avendo tutti i conti in dollari congelati, si è riorganizzata acquistando sul mercato interno la valuta necessaria per pagare le cedole, per poi trasferire attraverso controparti di Paesi terzi tale importo alle banche Usa, che hanno gestito materialmente l’accredito ai beneficiari. Il meccanismo su cui si basa il mancato default di Mosca viene spiegato da Il Fatto Quotidiano: “Gli esportatori riportano in una banca russa il corrispettivo in valuta estera incassato per la vendita dei beni; entro tre giorni hanno l’obbligo di convertirne l’80% in rubli e sono pertanto forzati a cedere questa valuta sul mercato; gli importatori comprano la valuta necessaria addebitando il proprio conto in rubli su una banca russa, infine utilizzano questa valuta per acquistare all’estero i beni necessari”.
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La strategia russa
Mosca ha così risposto alle sanzioni europee, consapevole della dipendenza dei membri Ue nei suoi confronti. Il meccanismo ha dei crismi ben precisi: è necessario che la valuta estera in entrata sia maggiore rispetto a quella in uscita, che viene utilizzata per pagare beni e creditori esteri. Cosa che già succede, tra l’altro, visto che grazie all’export a Mosca arrivano più dollari di quanti ne escano. Ecco il senso della richiesta di Putin di imporre l’obbligo di pagare il gas in rubli: in questo modo si crea una domanda per la moneta russa anche sul mercato estero.
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La partita è infuocata
La guerra porta con sé varie strategie, ad ogni mossa segue una contromossa. Fino ad oggi la strategia europea non sembra in grado di conseguire i risultati sperati, ottenendo, piuttosto, l’effetto “zappa sui piedi”. Evidentemente la partita a scacchi tra Mosca e Europa ha ancora molto da dire.
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