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Nasce Stellantis, Italexit: «Governo italiano colpevolmente in silenzio, il futuro di Torino è in pericolo»

Pubblicato il 07/01/2021 13:01

Con la fusione tra FCA e PSA e la nascita di Stellantis finalmente gli Agnelli riescono ad abbandonare una volta per tutte il settore automotive: formalmente saranno gli azionisti di maggioranza, ma nella stanza dei bottoni si muoveranno in prevalenza i dirigenti francesi. O meglio lo Stato francese, che continua a detenere una quota importante di Peugeot, e in misura minore quello tedesco, che ha mantenuto la sua quota in Opel dopo l’acquisto di quest’ultima da parte di Peugeot nel 2017. Solo lo Stato italiano non ha una presenza nel nuovo conglomerato. Facile prevedere dunque chi saprà meglio far valere i propri interessi a partire dalla tutela dei posti di lavoro. 

I mercati finanziari hanno accolto con entusiasmo la novità spingendo verso l’alto il valore delle azioni dei due gruppi. La ricaduta sulla città di Torino e sull’Italia rischia però di essere catastrofica: l’azienda ha già deciso che la sede legale sarà in Olanda, i fornitori italiani saranno sostituiti in buona parte da quelli francesi e la produzione dei nuovi modelli del segmento B (il più importante in Europa) avverrà in Polonia. Torino diventerà quindi una delle tante sedi periferiche, con Mirafiori ormai ridotta a “mascherinificio di Stato”. Conte e Gualtieri, nel frattempo, restano in silenzio infischiandosene delle ripercussioni sul nostro tessuto economico e sociale. D’altronde, non avendo una presenza diretta nel gruppo, lo Stato italiano parlerebbe comunque a vuoto, come hanno fatto fino ad oggi tutti i governi con FCA. 

Italexit con Paragone considera questo atteggiamento irresponsabile e punta il dito contro il grave problema di fondo che ha sempre contraddistinto i rapporti tra le istituzioni e la più grande industria privata in Italia: quando la Francia ha salvato Peugeot dal fallimento ha preteso di entrare nell’azionariato e di esercitare un ruolo di primo piano nelle scelte dell’azienda; l’Italia, nonostante 250 miliardi di euro di finanziamento pubblico (diretto e indiretto) dal 1975 a oggi, non ha mai posseduto una singola azione di Fiat/FCA e anche il recente prestito garantito da 6 miliardi si è concluso con una pacca sulla spalla per non indispettire l’Unione europea. 

In questo momento storico non possiamo più permetterci il lusso di avere uno Stato che non vuole intromettersi nelle questioni private, soprattutto se sta usando soldi pubblici. La Costituzione pone la tutela dell’interesse generale al centro del nostro ordinamento: mettere a rischio il futuro di circa 90mila dipendenti diretti di FCA, e altre decine di migliaia nell’indotto, è o non è un attacco frontale contro la collettività?