Mancavano solo i medici a ribellarsi al supercommissario Arcuri, e adesso si aggiungono anche loro alla lunga lista. A difenderlo, oltre se stesso, ormai c’è rimasto solo il premier Conte, che invece di bocciarlo rilancia, e continua a offrirgli incarichi: ora si parla di lui anche per la gestione della situazione dell’ex Ilva. Dicevamo dei medici. Dopo gli anestesisti, ora è il turno dei rianimatori: costretti anche loro a manifestare sconcerto di fronte alla pervicacia con la quale Arcuri ha affermato che non ci sarebbero pressioni particolari sulle terapie intensive.
La risposta dei diretti interessati, come fa notare Alessandro Giuli su Libero, “esclusi gli intubati, che avrebbero ben altro da dire ma purtroppo non ne hanno facoltà”, non si è fatta di certo attendere: “Viene affermato che la pressione sulle terapie intensive sia sostenibile, ma in realtà nelle regioni rosse la pressione è quasi insostenibile e in quelle arancioni è molto ma molto pesante”. Queste, ad esempio, le parole di Antonio Giarratano, il fin troppo diplomatico presidente della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti), che conosce la drammatica realtà e non soltanto l’algebra impersonale dell’algoritmo.
“Affermare che 10.000 ventilatori possano garantire un sufficiente margine per sostenere questa crescita esponenziale di ricoveri in terapia intensiva significa pensa-re che basti saper accendere un ventilatore per salvare una vita. Purtroppo non è così”. Poi si è aggiunto il direttore di microbiologia e virologia all’Università di Padova Andrea Crisanti, a commentare, durante la trasmissione Agorà su Rai Tre, le affermazioni del commissario Arcuri, secondo il quale le terapie intensive non sono ora sotto pressione, perché i posti sono aumentati fino a 10.000 e attualmente ci sono circa 3.300 pazienti Covid ricoverati.
“Un posto di terapia intensiva – dice Crisanti – non si crea solo accendendo un ventilatore. C’è dietro tutta una struttura, ci sono competenze difficile da moltiplicare. Perché non si moltiplicano i letti senza utilizzare infermieri e rianimatori. Un rianimatore ci vogliono anni a formarlo, e più posti letto segue, più è difficile per lui curare i pazienti”. Il professor Crisanti ha poi sottolineato quello che definisce un “paradosso”: “Più posti aggiuntivi si creano nelle terapie intensive meno pressione c’è e più il virus si diffonde. Così facendo, alla fine della pandemia, si scoprirà che le regioni con più posti in rianimazione avranno fatto più morti”.
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