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Il M5S è diventato casta: tra Palazzi e poltrone, così è finito un sogno politico

Pubblicato il 22/06/2020 11:13

Vi ricordate il M5S delle origini? Quello antisistema, anticasta, quello del Vaffa e dello streaming, della trasparenza, della democrazia diretta, del rifiuto della logica del Palazzo, della tv e delle poltrone? Sì, è solo un lontana ricordo. In men che non si dica il Movimento è diventato casta, tra Palazzo e poltrone. Emblematici di questo triste cambiamento sono stati questi giorni di Villa Doria Pamphili, “distanti e impenetrabili in quel reality dell’economia chiamato Stati generali”, come sottolinea giustamente Fabrizio Roncone sul Corriere della Sera. Tutti asseragliati lì dentro, senza rilasciare dichiarazioni, tenendo i giornalisti alla lontana, con l’arrivo – addirittura – della polizia a cavallo. “Tutto questo fa molto casta – scrive Roncone -. Proprio quella che Di Maio e Bonafede e tutti gli altri grillini di governo promettevano di combattere”.

E invece ora ci sono dentro fino al collo. Scrive ancora Roncone, tracciando un quadro perfetto di questa involuzione: “Golosi di potere, cacciatori di poltrone, sensibili al lusso. Eccoli laggiù salire sulle loro auto blu, le scorte armate, i lampeggianti, un corteo dopo l’altro. Gli ultimi segnali di una mutazione ormai compiuta. Cominciata forse la mattina in cui Rocco Casalino, entrando a Palazzo Chigi, osservò — lo sguardo che era un miscuglio di delusione e fastidio — la stanza che di solito veniva assegnata al portavoce del premier. ‘Ma è troppo piccola!’, urlò, dopo lunghi secondi. I funzionari, mortificati, chinarono la testa: ora Rocco siede in una stanza adeguata, grande quasi come un campo da calcetto, adiacente a un ufficio dove alloggiano una ventina di collaboratori, alcuni dei quali si definiscono ‘sottoproletariato dell’informazione'”.

“Rocco allude, promette, blandisce, annuncia, rimprovera, drammatizza, poi perdona e, quasi sempre, viene perdonato”. Il rapporto del M5S con i giornalisti è profondamente cambiato. Ricostruisce Roncone nel suo pezzo: “Gianroberto Casaleggio teorizzava che se ne potesse fare a meno. Vito Crimi -ossequioso – esplicitò: ‘Mi stanno sul cazzo!’. Beppe Grillo lanciò una vera fatwa contro i talk show. «’Chi vi partecipa sarà scomunicato’. Vabbè. Era per dire. Ormai, ogni volta che cambi canale, trovi un grillino. Tutti perfettamente a loro agio negli abiti scuri, nel caminetto da Prima Repubblica. Dove si decidono strategie, alleanze e – soprattutto – poltrone”.

In questo, gli specialisti del M5S – spiega Roncone – sono Stefano Buffagni e Riccardo Fraccaro. “Buffagni gira proprio con una cartellina rossa. Dentro ci sono i dossier per decidere, o condizionare. Eni, Enel, Poste, Terna, Leonardo, Alitalia. E Rai. I vertici del Movimento ormai vengono interpellati anche per la nomina di un caporedattore qualsiasi. Così è ripartita la vecchia liturgia romana inaugurata dai satrapi socialisti al tempo dorato (per loro) che fu. Ci capita anche la senatrice Paola Taverna, quella che si alzava nell’emiciclo di Palazzo Madama e urlava: ‘Io so’ der popolo e ve lo dico in faccia: a zozzoniiiii!’ – vestita come se stesse al Tibidabo di Ostia, zatteroni di sughero e jeans strappati, mentre oggi invece gira tutta in ghingheri, con la sua Louis Vuitton d’ordinanza”.

E ricordate quando quelli del M5S dicevano schifati “Noi il caffè ce lo andiamo a bere al bar, come cittadini normali”?. Vecchi tempi anche quelli. Dopo qualche settimana erano già tutti lì al leggendario bancone, perché il caffè in sé è una ciofeca, ma poi le papille iniziano a sentire un certo retrogusto dolciastro e stordente, sorseggi e sai di poter fare cose importanti: “Per esempio – ricorda Roncone – sistemare nella tua segreteria i vecchi compagni di scuola (Di Maio li fa arrivare quasi tutti da Pomigliano d’Arco e Acerra). Così adesso nessun parlamentare vuole tornarsene a casa. Secondo il sacro limite dei due mandati, a fine legislatura dovrebbero trovarsi un posto di lavoro in tanti: da Bonafede a Fico, dalla Castelli a Fraccaro, a Di Stefano, Crimi, Ruocco, Toninelli, Taverna e Di Maio. Che infatti ha cercato di scardinare la regola cominciando a introdurre per i consiglieri comunali il ‘mandato zero'”. Addio, M5S. Adesso è l’ora di fondare un vero partito anticasta, come promette Gianluigi Paragone, uno dei pochi rimasto federe ai valori iniziali.

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