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Si chiamano LGBTQQIA+ e sono il 32% dei giovani. Cosa significa e perché non ci convince per nulla

Pubblicato il 30/01/2023 11:38

All’inizio era la semplice LGBTQ. Oggi, lettera dopo lettera, simbolo dopo simbolo, l’acronimo si è evoluto al punto da trasformarsi nel lunghissimo LGBTQQIA+, utilizzato per indicare l’insieme delle minoranze sessuali, quelle che sinteticamente non si riconoscono nella semplice divisione di sessi tra uomo e donna. E se da un lato è sacrosanto lottare per i propri diritti e combattere ogni forma di discriminazione, dall’altro non può che far drizzare le antenne quanto rivelato nelle ultime ore dal Daily Telegraph: in un Paese come l’Australia, addirittura il 32% dei ragazzi e delle ragazze in età compresa tra i 15 e i 24 anni si riconosce proprio in quella lunghissima sequenza di lettere, LGBTQQIA+. Un dato che ha spinto gli esperti a porsi più di un’interrogativo. Supportato da storie che raccontano quanto i giovani, oggi, siano particolarmente sensibili a queste tematiche. (Continua a leggere dopo la foto)
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LGBTQQIA+ cosa vuol dire

LGBTQQIA+, cosa vuol dire questa nuova sigla

Sulle pagine della Stampa, Gianluca Nicoletti ha raccontato una realtà italiana, quella dell’associazione GenerAzioneD. “Quasi segreta”, come spiegato dal giornalista, e fondata da genitori di ragazzi “con disforia di genere”. Un gruppo che si nasconde dietro l’anonimato perché “non è possibile fare altrimenti, il rapporto con i nostri figli è molto delicato, alcuni hanno anche disturbi psicologici importanti. La loro privacy è fondamentale”. (Continua a leggere dopo la foto)

Una delle madri che fa parte dell’associazione ha spiegato: “Ognuno di noi è preso ogni giorno dal dilemma di quanto assecondare o coltivare i dubbi. Vorremmo si capisse che avere un figlio o una figlia che desidera farsi amputare parti sane del proprio corpo, essere medicalizzati a vita non è certo una festa. Ci siamo costruiti un’associazione per chiedere più attenzione e riflessione su un tema delicato come quello della disforia di genere”. (Continua a leggere dopo la foto)

Una madre ha raccontato di avere un figlio che “a 11/12 ha iniziato a dirmi che si sentiva attratto dai maschi. Verso i 15 l’ho accompagnato in un centro sanitario riconosciuto sulla disforia. Gli hanno subito consigliato di iniziare la transizione sociale e darsi un nome da donna. Siamo andati insieme a comprare abiti femminili, trucchi. Il giorno dopo si è presentato a scuola vestito da donna. È iniziato un periodo di grande euforia. La neuropsichiatra ha sollevato il dubbio che potesse trattarsi più che altro di un’ossessione, non una vera disforia. Ora infatti il ragazzo sta spontaneamente regredendo nel suo proposito di transizione”.

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