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Il governo allarga l’obbligo vaccinale ma non vuole prendersi responsabilità

Pubblicato il 23/12/2021 18:24

Di Gianluigi Paragone.

Chi pensa che la canzoncina natalizia dei tre virologi sia solo un peccato di presunzione sbaglia; è piuttosto un altro passaggio dell’operazione simpatia che circonda l’emergenza Covid e i suoi «sacerdoti». 


I vaccini debuttarono nel segno delle primule griffate dall’architetto Stefano Boeri e poi da lì campagne di comunicazione sorridenti, rassicuranti, taumaturgiche; campagne tese a riconoscere uno status di privilegio rispetto a chi non accettava la proposta vaccinale dello Stato.

Si sa che le cose sono andate diversamente e nessun mantellino da supereroe si attiva con la vaccinazione: l’immunizzazione è anzi oggetto di discussioni, confronto e incrocio dei dati proprio perché l’efficacia del siero non è mai stata pari alla durata del green pass.

Questo disallineamento tra un supporto medico e un documento burocratico ha molto probabilmente fatto salire i contagi per opera di vaccinati in buona fede convinti di essere dentro una bolla; non a caso oggi si parla di riduzione della validità del Green Pass (il quale tra l’altro consentiva ai vaccinati positivi di uscire di casa…) e anche di tampone come «controprova» di buona salute, prassi che in molti ambienti di lavoro – per esempio – gli studi televisivi già attuano da tempo.

Insomma, gira e rigira i nodi cominciano ad arrivare al pettine della verità: non è la pandemia dei non vaccinati, il vaccinato può contrarre la malattia, il vaccino ha una durata limitata nel tempo, il tampone garantisce un monitoraggio della situazione e i lasciapassare sono sempre più fonte di discriminazioni. 

A fronte della notevole confusione (pensate anche ai mix vaccinali che si avranno soprattutto con la terza dose), il governo va avanti nell’estensione delle categorie professionali costrette al vaccino, aggiungendo al personale medico-sanitario anche il personale della scuola e delle forze dell’ordine cioé proprio coloro che dovettero fare i conti con la prima ondata «a mani nude», senza presidi e senza controlli.

Ho ascoltato parecchie storie in queste ultime settimane. Particolarmente sofferte sono state quelle caratterizzate da malattie pregresse che però la burocrazia della strategia «vaccinazioni a raffica» non ammette come esenzione. C’è chi ha avuto un tumore, lo ha sconfitto ma teme che la vaccinazione lo possa in qualche modo svegliare. Queste persone non solo hanno paura, ma sono anche doppiamente sole: sole come ex malati, sole come lavoratori.

Allora domando, se una persona ha una storia clinica travagliata perché dev’essere obbligata a firmare un consenso informato necessario alla vaccinazione? Se nessun soggetto (in special modo il medico) si assume la responsabilità di una dichiarazione che rassicuri il lavoratore, perché tocca a quest’ultimo farsi totalmente carico della decisione? 

Una legge dello Stato può vincolare (non si sa bene a che titolo) la prestazione lavorativa al siero, ma non può anche imporre una manleva che immunizza tutti tranne chi è obbligato alla iniezione. Da qui la solita domanda: se il vaccino è obbligatorio per categoria professionale, la persona non deve assumersi la piena responsabilità della vaccinazione stessa. A maggior ragione se in presenza di quadri sanitari particolari.

Tutto questo invece non entra minimamente nel dibattito, sempre più caratterizzato da propaganda e canzonette.