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Il delivery “uccide” i ristoranti. Spegniamo le App per ordinare cibi

Pubblicato il 04/01/2021 18:00

di Gianluigi Paragone.

Onestamente inizio a pensare che il governo abbia deciso di mollare alcune categorie della tanto decantata filiera italiana, del tanto osannato mondo delle pmi. Perché non si tratta più soltanto di “pesare“ la (in)competenza di Conte e soci; qui ormai è una malafede che si fa scelta politica, azione governativa.

E lo dico alla luce della imminente crisi di governo, dove i vezzi di tutti gli attori scarsamente protagonisti diventano il casus belli: ognuno col proprio ego, da Conte a Renzi, da Speranza (Leu nel Paese non piglia i voti dei parenti dei candidati ma il suo ministro sta paralizzando l’Italia con il suo faccino pallido da povero cristo con cui ti sembra persino inutile ingaggiar battaglia) a Di Maio, da Patuanelli alla De Micheli. Per non dire dei vari Arcuri, Pregliasco, Locatelli e esperti vari.

La scelta di questa banda di improvvisati, messi lì da un partito che prese i voti per scardinare il sistema e che ora del sistema è la tappezzeria, è – come dicevo – chiara: svendere l’Italia alle multinazionali, sacrificarla sull’altare di Bruxelles e infine derubarla del suo risparmio o della sua ricchezza privata.

Il mondo del commercio, della ristorazione, dell’artigianato, delle professioni a partita iva è attaccato alle altre bombole dell’ossigeno, quelle che però non vengono contabilizzate dalle conferenze stampa (sul cui rito ormai si allungano ombre che rimandano alla patente pirandelliana). È un mondo che ideologicamente viene disprezzato perché considerato evasore, arricchito sulle spalle degli altri. Un mondo che, per questi signorotti, deve servirti e subìre.

Che oggi ci sia Conte o domani PincoPallino non cambia, perché è la cultura delle sue forze di maggioranza ad essere “bacata”. Il succo di tale ideologia è: piuttosto che aiutare queste persone, meglio rovesciare il mondo e premiare le multinazionali e le banche. Alle prime viene concesso di agire in dumping fiscale, di sfruttare i lavoratori; alle seconde viene data la possibilità di fare le creste legalizzate con le carte di pagamento elettronico. Entrambe sono premiate in nome del “modernismo”.

Ho letto le condizioni delle famose piattaforme dei servizi di consegna del cibo: sono ispirate allo stesso cinismo “multinazionale” che applicano nei confronti dei lavoratori (i cosiddetti riders). Le famose consegne d’asporto spinte da Conte hanno raddoppiato il potere negoziale di queste piattaforme di servizio, il cui unico merito è… non avere meriti. Cucinano loro? No. Loro consegnano, “sfruttando” questa pattuglia di disperati senza quattrini che per star dietro a rate e bollette accetta di essere controllata da una app ed essere giudicata dai nostri egoistici like.

Anche chi cucina viene considerato come un ingranaggio del loro sistema. Soltanto dei post comunisti e dei fanatici del cretinismo digitale potevano frantumare la ristorazione, la sua filiera o il commercio.
Purtroppo la conflittualità tra disperati e l’appiattimento sottoculturale sono tali che vedo difficile una ribellione. Eppure alcuni ristoratori resistenti ci daranno una possibilità: il 6 gennaio staccheranno i tablet e chiederanno ai loro clienti di chiamare direttamente loro. Io li seguirò.

“Senza un’inversione di tendenza i colossi del delivery e del fast food ammazzeranno le attività di somministrazione – commenta Pasquale Naccari animatore dei Ristoratori Fiorentini – La commissione va dal 25 al 35%, dipende dalle condizioni economiche negoziate. A questa, si aggiungono le tariffe per l’attesa: per esempio, dopo più di 5 minuti dall’orario di ritiro, possono addebitarci 0,17 centesimi per minuto. Dopo più di 10 minuti dall’orario di ritiro possono addebitarci ulteriori 10 euro. Tra l’altro, tutti gli addebiti, le tariffe e le commissioni non includono l’Iva”.

In buona sostanza, su una fattura media di 2.400 euro, il costo dei servizi addebitati dall’operatore è di 859,91 euro a cui vanno aggiunti 570 euro di sanzione per ritardi nella consegna. “Da una fattura media di 2.400 euro – prosegue Naccari – ricaviamo 970 euro che non bastano né a ricoprire i costi della materia prima né tanto meno quelli del personale, delle utenze, etc. Il food delivery è insostenibile, ammazzerà i nostri spazi”.
Ma a Conte, Renzi e compagnia che volete che importi.