Ne sono successe di cose negli ultimi quarantatré anni, eppure il tabellario nazionale per gli indennizzi data ancora al 1981, sicché non comprende le paresi e le miocarditi. Ebbene, proprio queste ultime patologie rappresentano due tra le reazioni avverse e i danni collaterali più frequenti – e ampiamente documentati – dalla vaccinazione contro il Covid-19, eppure ciò non rileva, per dirla in termini giuridici. Nonostante ci siano dei pazienti in possesso di un certificato che attesta la correlazione tra patologie e iniezioni, non verranno dati indennizzi. Quanto scrivono su La Verità Francesco Borgonovo e Alessandro Rico è davvero sconcertante: per un tale cavillo in tantissimi non riescono, dunque, ad accedere ad alcuna forma di compensazione per i danni subiti. Oltre al danno (collaterale) la beffa. Come il lettore ricorderà, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, aveva recentemente assicurato che “Il governo andrà avanti fino in fondo”, sul tema degli effetti avversi da vaccino contro il Covid e sui relativi indennizzi, dunque non resta che la speranza, intesa come sostantivo e non come cognome, che si provveda a sanare questo vulnus. (Continua a leggere dopo la foto)
Il primo rifiuto
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, a sua volta aveva annunciato l’istituzione di “una commissione ad hoc” per verificare i casi e le richieste di indennizzo. Nell’attesa che alle parole segano anche i fatti, i due giornalisti hanno trattato due vicende emblematiche, tra le svariate migliaia di situazioni analoghe. Si tratta di due giovani danneggiati dai sieri a mRNA che, impropriamente, chiamiamo vaccini. Due ragazzi cui è stato riconosciuto il famoso “nesso causale”, ma che non vedranno neppure un centesimo. Uno dei due sventurati è un ragazzo classe 2004, dunque solo ventenne, che dopo la seconda dose del vaccino della Pfizer iniziò ad avvertire dolore al torace e venne ricoverato in ospedale, ove fu diagnosticata: “Miocardite in paziente con recente vaccino Sars-Covid-2”. È scritto nero su bianco, e peraltro dopo pochi mesi si è reso necessario un ulteriore ricovero. Stavolta la diagnosi è stata anche più spietata: “Recidiva di miocardite”, sino a che, dunque, il verbale dei medici legali ha sancito “l’associazione causale tra la somministrazione di vaccino e l’infermità”, esprimendo “parere favorevole alla concessione dei benefici previsti dalla legge 210/1992”. Tutto inutile, giacché tra le categorie elencate dalla apposita tabella, come anticipato, non erano previste dall’ultimo aggiornamento – se così vogliamo definirlo – risalente al lontano 1981. (Continua a leggere dopo la foto)
Un altro caso emblematico
Veniamo, ora, al secondo caso citato dai due giornalisti de La Verità. Si tratta di una donna che ha iniziato ad avere problemi già dopo la prima dose del vaccino Pfizer. Partiamo direttamente dalla diagnosi: “Paralisi del nervo facciale, ipotiroidismo, cheratocono (un disturbo della cornea, NdA)”. Sicché il 14 marzo 2023 l’accertamento per l’invalidità civile ha individuato una “riduzione permanente della capacità lavorativa del 40%”. E anche in questo caso i medici legali si erano pronunciati a favore dell’indennizzo, peccato però che neppure la paresi rientri nella tabella di oltre quarant’anni fa, 43 per la precisione. Ora, due sono le cose da fare. La prima, va da sé, è l’immediato aggiornamento del tabellario, inserendo quelli che in tutta evidenza sono gli effetti collaterali tipici o quantomeno più comuni della vaccinazione contro il Covid, ossia la miocardite e la paresi detta anche Paralisi di Bell; la seconda cosa, qualora la prima tardasse a essere messa in pratica, attiene al danneggiato stesso e si configura come un percorso a ostacoli, e gli ostacoli sono dati essenzialmente dalle lungaggini burocratiche. (Continua a leggere dopo la foto)
Che fare?
L’unica strada percorribile per le due persone di cui abbiamo scritto, un campione minimo fra centinaia e forse migliaia di casi analoghi, è dunque quella di impugnare il verbale in cui viene negato l’indennizzo, rivolgendosi al ministero della Salute, o in alternativa – nel solo caso della signora che ha contratto la paresi –, adire dinanzi al giudice del lavoro.
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