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Conte dorme e Parigi attacca

Pubblicato il 08/10/2020 18:00

di Gianluigi Paragone.

Un altro pezzo di Italia economica rischia di finire nelle mani francesi. Stando infatti a indiscrezioni molto attendibili e a consolidati rumors la Banca Popolare di Milano potrebbe finire nel carrello di Credit Agricole, già “beneficiaria” delle dismissioni di Intesa.

Se così fosse vorrebbe dire che la strategia della banca francese è chiara anche rispetto ad altre possibili operazioni che compongono il risiko creditizio italiano, preferendo il boccone prelibato di BPM a scapito della più complessa Montepaschi di Siena, le cui dinamiche future sono ancora avvolte nel grigio dei Palazzi governativi. Montepaschi significa affanni e relazioni pregresse che non si scrollano mai di dosso del tutto, significa esposizioni legali tutte da chiarire e compunque rischiose; Banca Popolare di Milano invece è un importante centro di raccolta del credito in quel tessuto di piccole e medie imprese, di professionisti e di famiglie che ancora riesce a tenere botta nonostante tutto da Milano a Verona, da Novara a Brescia.

Per il sistema francese mettere le mani sulla terza banca di sistema italiana significa proseguire con certosina e lucida strategia la campagna espansionistica dentro la nostra economia, dai grandi gruppi alle più piccole realtà di filiera. Le recenti vicende che hanno visto protagonisti Vivendi rispetto a Mediaset o Peugeot rispetto a FCA auto, o le grandi manovre parigine su celebri brand della moda o sull’agroalimentare italiani rappresentano il mood che si respira sull’asse franco-italiano dove noi siamo la preda e loro i predatori.

Concedere la possibilità di consolidarsi nel nostro mondo bancario significa anche riuscire a entrare nelle dinamiche del controllo del debito pubblico italiano, con ulteriore ricaduta ai nostri danni sia con handicap occupazionali sia appunto sul mercato dei titoli di Stato. Mi domando pertanto come una classe dirigente possa sfilarsi dalla messa fuoco dell’intreccio tra finanza ed economia reale tanto più in questa fase assolutamente emergenziale. Le perplessità circa il ruolo che i governi dovrebbero avere rispetto a queste trattative lasciano il tempo che trovano non soltanto perché la Francia riesce a curare gli interessi nazionali con forti politiche d’ispirazione governativa, ma anche perché lo stesso nostro ministero dell’economia e delle finanze ha sott’occhio il risiko bancario, cessione di MPS in testa. Quindi non è affatto neutrale, per questo viene spontaneo domandarsi: che partita stanno giocando? Perché non costruire le condizioni per un irrobustimento “Made in Italy”?

Il governo non può pensare di abdicare totalmente a vantaggio dei tedeschi (vedi trattativa sul Recovery e sul Mes oppure la vendita del porto di Trieste ai germanici) e dei francesi: l’Italia deve poter difendere il suo tessuto economico e ancor più il grosso risparmio privato. Tra Palazzo Chigi e il Mef sembra che il gioco sia a chi avvantaggia meglio gli altri nello spartirsi l’eccellenza Made in Italy.

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