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Che boomerang la difesa della Casta, Gianluigi Paragone demolisce il Fatto Quotidiano

Pubblicato il 13/08/2020 14:37

di Gianluigi Paragone.

Ieri sul Fatto Quotidiano Antonio Padellaro mi ha tirato in ballo mescolando la vicenda dei furbetti (solo furbetti?) con la proposta che feci nelle settimane iniziali di lockdown nota con il nome di helicopter money. Proposta che, come ricorda l’ex direttore dell’Unità e del Fatto, fu rilanciata anche dalla Meloni.

Poiché considero Padellaro persona garbata e intelligente, credo sia opportuna una risposta che solo il caldo d’agosto e la passione per Conte rende doverosa. L’helicopter money era ed è un intervento assolutamente emergenziale, di immediato stimolo economico, volto a riparare una situazione che genericamente non fa distinzioni. Il lockdown lo è stato: tutti a casa, salvo casi eccezionalmente autorizzati. Ricchi e poveri, giovani e anziani e potremmo andare oltre. A fronte di questo stop, avevo soltanto rilanciato ciò che l’economista Milton Friedman aveva provocatoriamente proposto: soldi a tutti lanciati dall’elicottero così siamo sicuri che arrivano senza troppi ostacoli. In assenza di elicotteri, bastava l’accreditamento diretto in un conto. La suggestione, in quel periodo di emergenza Covid, fu realizzata da alcuni Stati dotati di una vera banca centrale.

La sfida che lanciammo dunque fu: accreditamento di mille euro per ogni cittadino. Subito, in attesa di ripartire. Nel ricordare quella mia idea, trasferita in un emendamento non accolto, Padellaro commette due errori: uno grossolano, uno di visione.

L’errore di visione è laddove accomuna un intervento risarcitorio al lockdown qual era l’helicopter (ripeto, realizzato da diversi Stati dall’America al Giappone) ai decreti di ripartenza economica quali il Cura Italia e il Rilancio, le cui falle sono appunto nell’assenza di una idea organica: se tutti i decreti ricalcassero l’impianto dell’elicottero di Friedman non si ripartirebbe più. Tant’è. I decreti economici del governo non hanno atterraggi nell’economia reale, come dimostra la rabbia montante degli operatori, sempre impigliati in burocrazia e ostacoli.

L’errore grossolano che invece commette Padellaro nell’eccitazione di difendere la maggioranza e attaccare tutti gli altri, sta nel sovrapporre la generalità della mia proposta dell’helicopter alla avidità dei parlamentari che fecero richiesta del bonus Iva. In poche parole, Padellaro contesta: ma come, tu che volevi dare soldi a tutti ti lamenti se un parlamentare fa richiesta del bonus? Sì, per un motivo fin troppo banale da doverlo spiegare allo stimato Antonio: il parlamentare in quanto rappresentante del popolo è al servizio del popolo.

E mi spiego. Non solo noi parlamentari abbiamo percepito l’intero emolumento senza sudore, cosa che mosse alcuni di noi a devolvere parte dello stipendio in beneficenza (parte perché le spese fisse le abbiamo onorate, piena retribuzione dei collaboratori in testa. Almeno io ho agito così); quindi, non solo abbiamo ricevuto l’intero emolumento, ma noi parlamentari eravamo – e siamo – catalizzatori delle difficoltà dei cittadini. Quei cittadini per cui pensavamo interventi economici da inserire nei decreti del governo.

Proprio queste due situazioni (il pieno stipendio e il fatto di essere al servizio dei cittadini) avrebbero dovuto dispensare il parlamentare dal richiedere ciò che era pensato per i cittadini. Senza che vi fosse una norma che escludesse esplicitamente il parlamentare dal diritto di richiesta. Lo dovevamo fare quia iustum est, come avrebbero detto i latini: perché è giusto farlo e tanto basta. Per questo lo sberleffo di Padellaro e del Fatto è un colpo che non solo va a vuoto ma gli finisce in faccia perché così facendo rischia di essere una difesa dei furbetti acchiappabonus. Sui quali c’è invece uno strano atteggiamento dell’Inps che denuncia distorcendo i suoi ma poi si rintana nella privacy facendo montare un dibattito sui risparmi della politica, del quale si fa campione Luigi Di Maio, cioè lo sponsor del presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Visto che Di Maio fa tanto il moralista sui soldi della Casta, racconti quanto costano i suoi amici di Pomigliano d’Arco al contribuente italiano, racconti quanto ci costa il suo staff con tanto di fotografo iperpagato, racconti quanto ci costa quel Mimmo Parisi a cui ha affidato il gran circo dei Navigator.

Se la Casta costa, i critici della Casta ci costano molto di più. Questo è un… Fatto (anche se non lo dicono).