La sanità in Calabria è allo sbando, mentre i cittadini devono fronteggiare una pandemia senza precedenti. Il governo nomina commissari a caso che puntualmente fanno gaffe, o peggio ancora danni, e la diligenza resta così incustodita, alla mercè di chi è pronto ad assaltarla. E così è. L’assalto è già in corso. A spiegarlo è un approfondito articolo di Arcangelo Badolati pubblicato su La Gazzetta del Sud. Spiega Badolati: “Le Aziende sanitarie calabresi hanno sopportato l’azione costante di società finanziarie e gruppi imprenditoriali privati che sono riusciti spesso ad ottenere il pagamento doppio e triplo di fatture relative ai servizi resi alla sanità pubblica”. Come è stato possibile?
“Il meccanismo, sottile ed efficace, è stato attuato attraverso l’esibizione, a distanza di tempo, del medesimo titolo o fattura, oppure richiedendo e ottenendo l’emissione di decreti ingiuntivi dall’autorità giudiziaria dopo aver prodotto magari un documento attestante un credito già liquidato”, sintetizza Badolati. Santo Gioffrè, rimasto nel 2015 per cinque mesi alla guida dell’Asp reggina racconta a La Gazzetta del Sud: “Bloccai il pagamento di sei milioni di euro che era stato richiesto e ben ‘infiocchettato’ con relativi pareri di conformità. Della esistenza del credito non v’era traccia nei documenti contabili. Era già stato pagato nel 2009 e lo riproposero nel 2015”.
L’Asp reggina, così come le altre aziende sanitarie della Calabria, ha subìto queste rapine per tantissimo tempo. Continua ancora Gioffrè: “Capii che per non consentire di ricostruire la effettività dei crediti vantati venivano sottratte le carte. Non era possibile capire se la società finanziaria cui magari era stato ceduto il credito da un gruppo della sanità privata stesse chiedendo il pagamento di una somma già erogata magari anni prima agli stessi cedenti”. Niente carte e, quindi, nessun possibile controllo.
“Chiesi al ministero” denuncia Gioffrè “di mandarmi una compagnia di specialisti della guardia di finanza cui affidare il compito di ricostruire quello che era avvenuto negli ultimi dieci anni e richiesi all’esecutivo pure di imporre alla Banca d’Italia di fornire tutti i dati relativi alla tesoreria per potere così seguire passo passo cosa era accaduto”, ma nulla del genere è stato mai fatto. I creditori, dunque, sono spesso cliniche o case di cura private che cedono i crediti a delle società finanziarie con sede in Lombardia. Queste sottoscrivono un contratto con i cedenti e attivano immediatamente una “intimazione al pagamento” notificata all’Azienda sanitaria calabrese.
Nel documento di messa in mora indicano persino le coordinate (cioè l’Iban) su cui effettuare i versamenti richiesti. Le cifre richieste? Spaventose. Conclude Badolati: “Il meccanismo fraudolento, nel 2016, è stato denunciato alla magistratura, ma al momento dal punto di vista penale non vi sono processi in corso”. Questi soldi, va ribadito, sono stati illegittimamente sottratti alla sanità pubblica. Soldi che potevano e dovevano essere destinati a migliorare i servizi e a garantire migliori cure ai cittadini della Calabria.
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