Le Regioni italiane continuano a non essere competitive. Tutta colpa dello scarso numero di laureati nel Bel Paese e delle pochissime persone che si dedicano alla formazione anche mentre lavorano. Un dato che emerge analizzando gli indicatori che vanno a comporre il Regional Competitiveness Index 2019: su una scala da uno a 100, a livello europeo questo aspetto ottiene una valutazione media di 58,5. Non c’è una singola Regione italiana al di sopra di questa soglia.
Al contrario, delle cinque peggiori realtà a livello europeo tre sono italiane (Sicilia, Puglia e Sardegna) e due sono rumene. La situazione migliore si registra nella provincia autonoma di Trento, dove si arriva a 51,43. Seguono l’Umbria con 49,51 ed il Friuli-Venezia Giulia con 48,48. Per costruire l’indicatore si tiene conto della percentuale della popolazione laureata, quindi di quella nella fascia di età compresa tra i 25 ed i 64 anni che si è diplomata e che ha svolto attività di formazione nelle quattro settimane precedenti l’intervista.
Altri fattori chiave sono la percentuale di persone tra i 18 e i 25 anni che ha smesso con gli studi dopo il diploma, il rapporto uomini-donne laureati e il numero di persone che vivono vicino a un’istituzione universitaria. I risultati, alla fine, premiano il nord Europa, a discapito delle regioni del Sud. Da sottolineare che ci sono realtà dell’ex blocco sovietico, che spesso sono in difficoltà in confronto ai Paesi occidentali, che si trovano al di sopra della media.
Ecco, allora, che anche nel quadro generale negativo dell’Est Europa emergono comunque realtà in forte miglioramento. È il caso di Estonia, Lettonia, Lituania e, almeno in parte, della Polonia. Il record assoluto nell’Hovedstaden, la regione che ospita la capitale danese Copenhagen, dove l’indicatore raggiunge il punteggio massimo di 100, sostanzialmente il doppio rispetto a quello delle realtà italiane più performanti.
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