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Anche l’Oms ora accusa la Cina: “Ritardi e bugie sulla diffusione del Coronavirus”

Pubblicato il 03/06/2020 12:09

Apertamente, l’Oms cercava di gettare acqua sul fuoco nel corso delle settimane più difficili affrontate dal mondo intero, quelle in cui il dilagare del Covid-19 negli Stati Uniti e nel Vecchio Continente aveva costretto i governi a imporre duri lockdown, con il bollettino dei morti in costante crescita. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità, in quei momenti delicati, aveva preso le difese della Cina, finita fin da subito nel mirino per la gestione dell’emergenza, con preziose informazioni nascoste agli altri Paesi e che avrebbero potuto permettere loro di agire con più chiarezza, risparmiando pericolosi errori. Ma dietro quegli elogi pubblici a Pechino si nascondeva, in realtà, la consapevolezza di una mancanza totale di trasparenza da parte del Dragone, che rifiutava di collaborare nonostante la posta in gioco fosse così alta.

Anche l'Oms ora accusa la Cina: "Ritardi e bugie sulla diffusione del Coronavirus"

A raccontare i retroscena di quei giorni concitati è l’Associated Press, secondo la quale l’Oms avrebbe dispensato elogi pubblici alla Cina per tentare di spronarla a una maggiore collaborazione, con i funzionari dell’agenzia Onu a lamentarsi in privato per i ritardi nell’invio di materiale audio e video da parte di Pechino. Un’irritazione crescente e che si trascinava da tempo, figlia dei tentennamenti nel condividere i dati sul genoma, nascosti per oltre una settimana, e sulle modalità di diffusione del virus. Tutti passaggi che, nei giorni in cui il contagio varcava l’Oceano per arrivare in Europa, nello specifico in Italia, avrebbero consentito una risposta molto più efficace sotto forma di test e farmaci per curare i pazienti. Il tutto a causa, sempre secondo l’agenzia di stampa americana, del “ferreo controllo sull’informazione e della competizione interna al sistema sanitario cinese”.

Anche l'Oms ora accusa la Cina: "Ritardi e bugie sulla diffusione del Coronavirus"

A testimonianza di come i ritardi di comunicazione della Cina abbiano influito sulla gestione della pandemia ci sono le tempistiche accertate: dal 2 gennaio, momento della prima decodifica del virus, al 30 gennaio, giorno in cui l’Oms avrebbe dichiarato l’emergenza mondiale, l’epidemia era già cresciuta di 100-200 volte. Il tutto nonostante già alla fine di dicembre l’azienda Vision Medicals avesse già quasi del tutto completato lo studio sul genoma di un virus molto simile alla Sars, con la Commissione sanitaria cinese a imporre però il silenzio ai laboratori e ai medici che avevano partecipato agli studi. Soltanto l’11 gennaio il mondo scopriva il genoma del virus, diffuso dallo scienziato di Shangai Zhang Yongzhen attraverso il sito virological.org. Il medico venne punito con la chiusura del laboratorio a causa della violazione delle imposizioni del governo, ma a quel punto anche altri laboratori, non potendo più nascondere la notizia, iniziarono a diffondere i dati.

Anche l'Oms ora accusa la Cina: "Ritardi e bugie sulla diffusione del Coronavirus"

Ancora, però, bisogna attendere il 20 gennaio perché le autorità cinesi ammettano per la prima volta che esiste un virus che si trasmette da uomo a uomo. Un rappresentante dell’Oms in Cina, il medico Gauden Galea, si sarebbe lamentato proprio in quei giorni perché le informazioni “ci venivano date solo un quarto d’ora prima di annunciarle sulla tv pubblica”. Una ricostruzione che smentisce in maniera netta quella del presidente Xi Jinping, che in questi giorni ha rispedito per l’ennesima volta al mittente le accuse ribadendo la tempestività dell’operato del suo Paese. L’ennesimo tassello in un puzzle che vede la tensione crescere fortemente tra Pechino e gli Usa, con Trump che continua a puntare il dito contro il governo cinese e gli 007 americani alla ricerca di ulteriori prove per rimpolpare le accuse.

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