Se i catastrofisti e disfattisti sono tutti in Italia, altrove c’è chi guarda al nostro Paese con maggior favore, come Michael Spence, premio Nobel per l’Economia nel 2001 e docente alla New York University e presso l’Università Bocconi, intervistato da il Giornale a margine dell’Npl Meeting di Villa Erba a Cernobbio, un evento che ha riunito che ha riunito i maggiori operatori del settore del recupero dei crediti deteriorati. Una lucida analisi macroeconomica e geopolitica, che parte dal suo Paese, gli Stati Uniti la cui priorità è di rimanere al passo con la Cina in varie aree tecnologiche come la produzione di chips e di semi-conduttori. Durante il suo intervento, Michael Spence ha parlato di “frammentazione della globalizzazione” e di un’economia più divisa in blocchi. Venendo al nostro Paese, l’Italia sta crescendo meglio dei partner europei. (Continua a leggere dopo la foto)
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Quel che deve fare l’Italia
Ciò accade anche se la crescita rimane bassa: perché la Germania, che è un grande partner commerciale della Cina, ha trascinato anche l’Italia. Dunque, l’interdipendenza delle economie europee si trasforma anche in fardello. Ma l’economista è ottimista: ora l’Italia ha bisogno di superare impedimenti strutturali che ne ostacolano la crescita. Serve creare opportunità per i giovani e “sviluppare meglio l’ecosistema che sostiene l’imprenditorialità”. E ci sarebbe anche bisogno di “andare verso una transizione energetica“, tema molto controverso quest’ultimo. Circa il forsennato ricorso all’aumento periodico dei tassi di interesse deciso dalla Banca centrale europea, la lotta all’inflazione, paradossalmente, “frena gli investimenti”. In un mondo in cui tassi d’interesse alti, lo spazio di manovra fiscale è relativamente basso e il sistema finanziario non mobilita grandi aggregazioni di capitale privato, “ebbene, abbiamo una ricetta per il disastro“. (Continua a leggere dopo la foto)
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Cina in forte crisi
L’area del mondo più compromessa, a sorpresa, nell’analisi di Spence è l’Asia orientale, dipendente dalla Cina anche se non si fida completamente: il modello cinese “sta andando a gambe all’aria“, con la crisi di Evergrande e la sovraproduzione dei veicoli elettrici. Sicché mentre un tempo lasciavano relativamente libero il settore privato, ora lo stanno riprendendo in mano.
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