In molti si rallegrano per i tassi di interesse zero o negativi che in questa fasse alleggeriscono le rate dei prestiti. Bene. Peccato, però, che non pensano alle conseguenze di questa strategia monetaria. Oltre alla inevitabile perdita di posti di lavoro (vedi il taglio di Unicredit: 6500 esuberi e 450 filiali chiuse solo in Italia), il problema è anche per i correntisti, i quali hanno molto da perdere dalla dissoluzione del modello tradizionale della banca commerciale. Come spiegano Enrico D’Elia e Alfonso Scarano su Il Fatto Quotidiano, “un tempo i correntisti erano la principale fonte di finanziamento delle banche ed erano trattati con rispetto. Oggi, con le politiche monetarie iper-espansive di Fed, Bce e compagnia, le banche medio-grandi si riforniscono di una enorme liquidità direttamente dalle banche centrali perfino a tassi negativi, ossia restituendo meno di quello che hanno ottenuto in prestito”.
Questa concorrenza spiazza completamente la tradizionale raccolta di risparmio sul territorio. “La politica iper-espansiva mette fuori mercato anche gli impieghi tradizionali, perché le banche preferiscono acquistare titoli di stato che spesso garantiscono rendimenti anch’essi negativi, ma superiori al costo del denaro, garantendo senza rischi un margine di guadagno. Così, correntisti e imprese che rappresentavano un volano dello sviluppo locale e nazionale, finiscono per diventare sempre meno rilevanti per le banche”.
Oggi le banche preferiscono offrire ai correntisti, che “pretendono” ancora rendimenti positivi, prodotti finanziari più o meno rischiosi e opachi, catapultandoli nel mondo della speculazione finanziaria, spesso a loro insaputa, come testimonia l’esperienza delle crisi bancarie. Continuano D’Elia e Scarano: “Alle imprese che hanno bisogno di credito vengono proposti servizi per emettere titoli (mini-bond) o finanziamenti da impacchettare (cartolarizzare) in prodotti collocati sul mercato senza puntuale controllo da parte di emittenti e controllori. Chi ha bisogno di piccoli prestiti viene dirottato verso società specializzate che praticano condizioni molto onerose, nonostante i tassi nulli o negativi di cui godono le banche, come dimostra la sostanziale stabilità dei tassi di usura, che sono medie calcolate su operazioni reali”.
“I clienti più deboli sono gettati in pasto a società specializzate nel recupero crediti, che adesso possono contare anche sulla liberalizzazione del settore in forza della direttiva in votazione a Bruxelles in questi giorni”. La concessione di prestiti a tassi così bassi ha indotto molte famiglie a sovraindebitarsi, mentre alcuni prodotti finanziari utilizzavano come garanzia proprio quei prestiti che divenivano irrecuperabili. Spiega Il Fatto: “I tassi troppo bassi rendono convenienti investimenti a bassissimo rendimento, riducendo la produttività complessiva del sistema economico, come testimonia il declino della crescita in alcuni dei paesi più sviluppati”.
A sua volta, la scarsa rimuneratività degli investimenti reali ha alimentato la speculazione finanziaria, dove i rendimenti non sono limitati dalla produttività del capitale fisico, che dipende da fattori tecnologici. Nessuna banca tradizionale può resistere a tali meccanismi. La loro dissoluzione addossa tutti i rischi a famiglie e imprese, ovvero sull’economia reale, invece di diluirli nel tempo. La conclusione? “Una crescita economica basata su queste premesse tende a concentrare ancora di più la ricchezza in poche mani e non sembra affatto sostenibile”.
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