L’operazione Unicredit-Mps – come andiamo dicendo dall’inizio e come ora sottolineano molte indiscrezioni e le poche cose note – si va connotando sempre più come un gran pasticcio. Come racconta oggi, 9 dicembre, Gianluca Paolucci su La Stampa, sul versante Mps c’è stato “un aiutino sul capitale per prendere tempo in attesa che si chiarisca la situazione e di là, lato Unicredit, il sostegno – e i soldi – per una bella pulizia globale, con in più il paradosso dei soldi pubblici italiani che comprano crediti ammalorati tedeschi o austriaci”.
Nel comunicato sul piano industriale di Mps dello scorso 17 dicembre, Mps ha anticipato che al prossimo 30 marzo prevede di avere “un deficit di capitale di oltre 300 milioni”. Senza dare indicazioni su quella che sarebbe stata la scadenza più prossima, ovvero il 31 dicembre scorso, la fine dell’esercizio. Scrive Paolucci: “L’omissione è parsa è un po’ meno bizzarra dopo che ieri BusinessInsider si è accorto per primo di una operazione realizzata a ridosso della fine dell’anno”. Quale? E qui viene il “bello”.
“L’intervento di Sace per garantire un pacchetto di crediti in bonis (non deteriorati) da 670 milioni di euro, con un accordo siglato il 30 dicembre scorso. Tanto Sace quanto Mps sono controllate dal Tesoro e proprio grazie al documento informativo (obbligatorio per le operazioni più rilevanti con parti correlate) è possibile capire qualcosa in più. La garanzia di Sace, che è di fatto una garanzia pubblica, consente di liberare circa 400 milioni di Rwa (asset ponderati per il rischi), in sostanza accantonamenti, grazie al fatto che la garanzia pubblica consente di ponderare a zero quei prestiti”.
L’operazione Paolucci la traduce quindi così: “L’intervento di Sace equivale a un mini-aumento di capitale pari a 10 punti base di Cet1 senza il quale è ragionevole pensare – dalla banca non è stato possibile avere chiarimenti – che i parametri patrimoniali fossero già al limite al 31 dicembre scorso. Mentre è possibile che la stima degli altri 300 milioni di capitale mancante al prossimo 30 marzo sia già comprensiva dell’aiutino di Sace. Dal lato Unicredit siamo per ora solo alle indiscrezioni. Ma se l’ipotizzato intervento di Amco quale compratore di un pacchetto di crediti deteriorati arrivasse a 20 miliardi – come scritto ieri dal Messaggero – l’istituto pulirebbe di fatto completamente il suo bilancio, dato che il totale dei crediti non performanti della banca era al 30 settembre pari a 22,7 miliardi di euro e nel frattempo qualche pacchetto è già stato ceduto”.
Infine, spiega Paolucci, “questi crediti sono per la maggior parte relativi all’Italia (7,2 miliardi) ma 3,3 miliardi sono relativi a Germania e Austria e altri 3,5 al Centro-Est Europa. In più, sulla base delle coperture già effettuate, ipotizzando prezzo di cessione e un mix tra sofferenze e inadempienze probabili analogo a quello dell’operazione Amco-Mps, Unicredit porterebbe a casa anche una bella plusvalenza. Un bell’affare per i soci, meno per il resto del mercato. Poi ci sarebbero anche i contribuenti, anche se nessuno pare curarsene”.
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