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30 anni di debito pubblico italiano: come è cambiato e chi lo controlla davvero oggi

Pubblicato il 16/08/2019 17:34

Si impenna puntualmente a ogni tensione politica, facendo presagire un avvenire catastrofico. Ne parlano tutti, chi con più chi con meno cognizione di causa. Ma di preciso, chi è a trovarsi davvero colpito quando lo spread vive le sue puntuali turbolenze? La quota del nostro debito pubblico in mano a imprese e famiglie italiane è infatti molto marginale. Un terzo spetta alle aziende straniere. Il 50%, invece, è controllato da banche, fondi e assicurazioni italiane. Non sempre, però, le cose sono state così. Dal 1988 a oggi le cose sono infatti cambiate parecchio e grazie al database della Banca d’Italia è possibile tornare indietro nel tempo per capire qualcosa in più.

Col tempo, infatti, si è assistito a una progressiva riduzione della quota di debito, sia in termini assoluti sia in termini percentuali, in mano ai risparmiatori italiani. Contemporaneamente, e in particolare con l’adesione dell’Italia alla moneta unica, si è assistito alla crescita della fiducia nel nostro Paese e con essa la porzione detenuta dagli investitori stranieri. Il dato cresce dal 4% del 1988 al 32% attuale. Quella degli investitori nostrani cala di contro dal 57 al 6%. Evidente anche l’impatto del programma di Quantitiative Easing della Bce operativo da marzo 2015: la quota di titoli di Stato in mano alla Banca d’Italia, direttamente o attraverso la Banca Centrale Europea, passa dal 5% del 2014 al 16% attuale.

Sul fronte banche, invece, ecco che la parte di debito in mano agli istituti di credito italiani nel 2018 è di circa il 27% del totale, pari a 612 miliardi di euro. Il che spiega perché siano soprattutto gli istituti di credito a soffrire dei rialzi del differenziale. Di questi però soltanto 342 sono titoli di Stato, mentre il resto è rappresentato prevalentemente da altri prestiti. La somma di banche e assicurazioni italiane e straniere dà un ammontare di poco inferiore ai 400 miliardi di euro.

A primeggiare in questo caso è il Gruppo Poste Italiane, che tra investimenti e riserve ha in pancia oltre 121 miliardi di titoli, seguita da Generali, che al 30 settembre 2017 ne aveva oltre 63 miliardi , e Unicredit, che a fine marzo vantava 47,2 miliardi di titoli.

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