Siamo sicuri che il cosiddetto patriarcato, inteso come brodo di coltura in cui fermenta il gene malato della violenza di genere, che si tratti di stupro o di femminicidio, sia l’unico responsabile del problema? Molto spesso, leggiamo di allarmi e di denunce da parte delle donne, sistematicamente ignorati o ridimensionati dalla magistratura, sino a che non accade la tragedia. Il terribile sacrificio di Giulia Cecchettin ha riacceso i fari sulla violenza nei confronti delle donne, ma occorre ampliare il contesto in cui si esprime tale orrida piaga. Spieghiamoci meglio: solo 17 procure italiane – su 138 – hanno un pool specializzato per contrastare tali crimini, laddove servirebbero la specializzazione e la formazione della magistratura (inquirente e giudicante) sui reati di violenza di genere, ed in particolare sulla violenza sessuale. La formazione obbligatoria e qualificata dovrebbe costituire un presupposto inderogabile per il magistrato delegato a trattare questa materia, poiché spesso i cosiddetti “reati spia”, come ad esempio lo stalking, non vengono immediatamente riconosciuti e adeguatamente sanzionati. (Continua a leggere dopo la foto)
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Mancano formazione e magistrati dedicati
Ne consegue una sottovalutazione, endemica e strutturale, dei fenomeni di violenza di genere e domestica, che non viene letta correttamente. Per combattere la violenza maschile contro le donne risulta, dunque, imprescindibile la formazione degli operatori coinvolti. Sicché la Convenzione siglata dal Consiglio d’Europa a Istanbul nel 2011, in materia di violenza sulle donne e violenza domestica, resta in larga parte ancora disattesa. Da un recente dossier del Servizio Studi del Senato apprendiamo che solo 437 giudici su 8.891 hanno seguito corsi formativi offerti dalla Scuola Superiore della magistratura fino al 2018. Si tratta del 5% del totale. Percentuale che sale al 6% nel caso delle donne, ma scende al 3% in quello degli uomini. Inoltre, vi è una problematica parallela: come possiamo riscontrare sul portale Truenumbers.it, nel 2018 erano solo 455 i magistrati che erano stati assegnati a trattare casi di violenza di genere e domestica, e stiamo parlando appena del 22%, peraltro distribuiti in maniera assai poco omogenea e va da sé che in moltissime procure tale figura manchi del tutto. Si tratta di 14 piccole procure, sparse in tutto il territorio nazionale in cui di casi di questo tipo si occupano tutti i giudici indistintamente, senza che nessuno abbia una preparazione specifica. (Continua a leggere dopo la foto)
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I pool specializzati
Sono, invece, 17 i tribunali che possono vantare un pool dedicato esclusivamente a questo tipo di reati, tra cui Sondrio, Biella, Rovereto, Rimini, Viterbo, Isernia, Oristano, Pavia, Bolzano, Bologna, Lecce, Catania, Palermo. Le procure più grandi, come Roma, Milano e Napoli, dispongono di un pool analogo ma i magistrati si occupano anche degli altri reati. Ad ogni modo, anche laddove vi è un pool dedicato, purtroppo, il 20% delle volte il caso va a un giudice che di questo non fa parte.
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