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Speranza costretto a cedere: consegna i verbali della Task Force. Cosa voleva nascondere?

Pubblicato il 09/06/2021 14:54 - Aggiornato il 09/06/2021 14:58

Cosa voleva nascondere Speranza? Perché il ministero della salute ci ha messo 6 mesi a spedire a chi di dovere i verbali della task force che un anno fa decise le sorti della guerra italiana al virus? A inizio maggio la sezione III quater del Tar, infatti, aveva condannato il ministero della Salute alla “ostensione dei resoconti, verbali o documenti” in possesso del ministero entro un termine di 30 giorni. L’ultimatum era scaduto ieri, e dunque il ministero ha ottemperato all’obbligo, ma non prima di aver cercato in ogni modo di fare melina. Segno che non c’era tutta questa tranquillità d’animo a inviare documenti così pericolosi e scottanti. (Continua a leggere dopo la foto)

Come spiega Giuseppe De Lorenzo su Il Giornale, “il dicastero guidato da Speranza ha provato fino all’ultimo ad opporsi alla decisione dei giudici del Tar: ha fatto melina, ha avanzato una ‘istanza di chiarimenti’, ha cercato di prendere tempo per allontanare il giorno in cui gli italiani avrebbero potuto conoscere la verità su quel tavolo del ministro. Adesso però ci siamo. La prima riunione della task force risale al 22 gennaio del 2020, e da quel giorno gli esperti si riuniscono ogni giorno alla presenza del ministro”. (Continua a leggere dopo la foto)

Intorno al tavolo elaborano proposte. “Il 27 gennaio ascoltano Ranieri Guerra, l’inviato Oms finito al centro del pastrocchio sul dossier Oms. Ed è lì che decidono cosa fare, e cosa non fare, del piano pandemico italiano. Venne subito attivato? Sì o no? Ma soprattutto: di chi fu l’idea di mettersi a scrivere un ‘piano’ alternativo dedicato al Covid? Per dare una risposta a queste domande sarebbe bastato leggere i verbali delle riunioni, che però erano tenuti secretati”. (Continua a leggere dopo la foto)

Il ministero guidato da Speranza ha fin qui sempre sostenuto che gli scritti siano solo dei “brogliacci” e dunque non abbiano i crismi burocratici di “verbali in senso tecnico e formale”. Scrive De Lorenzo: “E anziché spiegare per quale motivo una task force così importante si sia riunita ‘in via informale’ e senza rendere conto al Paese delle sue attività, il dicastero lo scorso 19 maggio ha provato a giocare la carta della ‘privacy'”.

“Quei brogliacci – si leggeva nella richiesta di chiarimenti – saranno destinati ad essere resi pubblici” e quindi “i soggetti (liberamente) intervenuti agli incontri potrebbero dover essere chiamati a rispondere all’opinione pubblica di posizioni e valutazioni non espresse o comunque malamente interpretate, con il rischio di evidenti e gravi danni all’immagine, e rischierebbero l’esposizione a possibili iniziative anche processuali di soggetti che si pretendano lesi”. Quindi il ministero ha cercato di usare il cavillo di “privacy” per tentare di boicottare l’ostensione dei documenti.

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