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Ogni settimana di blocco delle industrie ci fa perdere lo 0,8% del Pil: serve riaprire (con cautela)

Pubblicato il 06/04/2020 10:40 - Aggiornato il 06/04/2020 10:41

Chi è in questo momento alla guida del Paese forse non ha ancora ben chiaro il livello di gravità che la pandemia di coronavirus sta avendo – e soprattutto avrà nei prossimi mesi – sull’economia italiana. Sull’industria, sulle micro e piccole imprese. Sulla stragrande fetta dei cittadini italiani. La chiusura – in prima battuta giustissima – delle attività commerciali ha provocato l’immediata caduta del valore aggiunto dei servizi. Ora, però, serve iniziare a pensare a riaprire, e a rimettere in moto l’Italia. Il nostro governo, primo in Europa, a causa del veloce diffondersi del virus ha stabilito un’ulteriore misura, più radicale: la chiusura, in tutto il Paese, delle attività produttive “non essenziali”. Queste misure necessarie sul fronte sanitario, hanno però avuto l’effetto di provocare un avvitamento tra caduta della domanda e dell’offerta, non solo in Italia.

Massimo Roda e Ciro Rappacciuolo (del centro studi Confindustria) hanno scritto sul Corriere un primo bilancio di queste misure e soprattutto alcuni “consigli” al governo per far sì che l’economia possa riprendersi e non sprofondare ulteriormente. Parola d’ordine: riaprire. “L’impatto recessivo è previsto accentuarsi in primavera e diffondersi agli altri Paesi che saranno obbligati a introdurre misure analoghe. L’indagine Pmi condotta a marzo presso i direttori degli acquisti ha evidenziato una caduta senza precedenti dell’attività nelle maggiori economie europee, soprattutto in Italia. Per il complesso dell’Euroarea l’indice composito per manifattura e servizi è sceso ai minimi storici (29,7 dove un valore inferiore a 50 indica recessione), mostrando un peggioramento più forte nei servizi”.

Badiamo bene: “L’Italia, a causa della diversa tempistica dell’epidemia, ha registrato livelli storicamente bassi dell’indicatore Pmi sia nel terziario (indice 17,4) che nel manifatturiero (27,8). Nell’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria termini a maggio 2020 e che l’attività produttiva riprenda gradualmente da fine aprile a fine giugno, il Csc ha stimato un calo del Pil in Italia de 10% nei primi due trimestri, da fine 2019. Nella media del 2020, grazie a un recupero atteso nel secondo semestre, la caduta si fermerebbe al -6%. Tuttavia, se l’epidemia durasse più a lungo, la caduta del Pil si accentuerebbe.

Il Csc ha stimato che ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive potrebbe costare una perdita ulteriore di Pil di almeno lo 0,75%. “L’Ifo, istituto di analisi economica, ha diffuso stime analoghe: ogni settimana di estensione della chiusura parziale dell’attività economica determinerebbe una riduzione addizionale del Pil di o,8-1,5 punti. E ogni settimana in più di chiusura determinerebbe una perdita di o,8-1,6 punti percentuali in Spagna, 0,7-1,4 in Francia, o,8-1,5 nel Re-gno Unito e 0,7-1,6 in Germania”.

Per contenere l’impatto economico in Europa va definita una strategia di ripristino delle attività nel rispetto dei protocolli di sicurezza, con l’obiettivo di abbreviare l’arresto parziale dell’economia. Riaprire in sicurezza, dunque. Come segnalano Roda e Rappacciuolo, la sola ricetta da mettere in campo è “combinare una ripresa graduale della produzione col proseguimento della lotta all’epidemia”. E il varo – immediatamente – di un’helicopter money per immettere liquidità nelle tasche dei cittadini. Proprio come stanno facendo i grandi Paesi. O si fa così, o l’Italia muore.

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