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Lobby, imprenditori e Stati: la guerra miliardaria sulla Politica Agricola Comune Europea (Pac)

Pubblicato il 13/10/2020 15:33

Al parlamento europeo a Strasburgo, il 20 ottobre, verrà votata la riforma della Pac proposta dalla Commissione europea. La Pac è la politica agricola comune. In gioco ci sono non soltanto la sopravvivenza della diversità ambientale ma anche quella dei piccoli agricoltori. “La lobby dell’agrobusiness, Copa-Cogeca, d’accordo con l’industria dei pesticidi e i giganti dell’alimentare stanno da mesi facendo di tutto per non permettere alla Commissione di allineare la Politica agricola europea agli obiettivi del Green Deal», denuncia, in un rapporto, in uscita oggi e ripreso da L’Espresso, la ong “Corporate Europe Observatory”, che segue i comportamenti delle lobby a Bruxelles.

Nel suo articolo Federica Bianchi spiega: “Accusata da anni di inefficienza e corruzione, la Pac, il più grande programma di sussidi diretti esistente al mondo, 390 miliardi per il periodo 2021-2027, oltre un terzo del bilancio Ue, è stata oggetto di una proposta di revisione da parte della Commissione nel 2018. Ma negli ultimi due anni molto è cambiato: la politica verde e sostenibile da slogan è diventata strategia economica europea. Non tutti però sono d’accordo: non le grandi aziende, non i Paesi che da questa politica hanno tratto enormi ricchezze, a svantaggio dei loro concittadini”.

“La Pac è sostenuta da una rete di interessi che briga da mesi per bloccare ogni cambiamento”, spiega, carte alla mano, Nina Holland, autrice del rapporto. “Si tratta di un gruppo molto vario, tenuto insieme dalla volontà di perpetuare il vecchio, redditizio sistema di produzione e di distribuzione dei sussidi. Ci sono ministri dell’Agricoltura, burocrati della direzione generale dell’Agricoltura, la maggioranza del Comitato agricoltura nel parlamento europeo e poi la potentissima lobby dell’agrobusiness europeo Copa-Cogeca”.

L’obiettivo iniziale era proteggere i piccoli agricoltori e le piccole aziende ma ormai queste sono diventate colossi aziendali come l’olandese FrieslandCampina o Rabobank, i cui interessi divergono da quelli degli agricoltori, e vanno più nella direzione del dominio dei mercati che del sostegno alla produzione. Lo ha dimostrato ad esempio la rimozione delle vecchie quote latte nel 2015, promossa dall’ex Commissario all’agricoltura Philip Hogan a beneficio soprattutto dell’Irlanda e della Germania, che ha finito per penalizzare il costo del latte e con questo i piccoli produttori. E la Sardegna ne sa qualcosa…

“Le pressioni – spiega Bianchi – per non inserire nella riforma della Pac elementi del Green Deal sono intense. L’utilizzo dei pesticidi dovrebbe essere ridotto del 50 per cento entro il 2030 così come quello degli antibiotici, mentre quello dei fertilizzanti dovrebbe scendere del 20 per cento per rispettare le direttive verdi per l’agroalimentare”. “Le nuove strategie ambientali ci obbligherebbero a reinventarci totalmente”, si era così lamentata il 24 luglio la tedesca Bayer con il gabinetto del commissario per l’agricoltura Janusz Wojciechowski.

Spiega ancora L’Espresso: “La Politica agricola comune, nata con la Comunità economica europea del Dopoguerra per garantire la sicurezza alimentare europea, ha fin dall’inizio privilegiato l’agricoltura francese (la Francia è il principale beneficiario con sussidi doppi rispetto alla Germania, secondo beneficiario davanti a Spagna e Italia). Ma negli ultimi anni molti i governi di alcuni Paesi dell’Europa dell’Est, Polonia, quinta beneficiaria, in testa, ma anche l’Ungheria di Victor Orban, hanno preso ad utilizzare il fondo comune per rafforzare il proprio potere politico tramite elargizioni discrezionali di fondi agli imprenditori fedeli. Le vecchie aziende di stato comuniste si sono trasformate in grandi latifondi contemporanei e, in un sistema in cui le elargizioni comunitarie sono basate sull’estensione di terra posseduta, monopolizzano i fondi agricoli destinati al proprio Paese”.

“Le grandi lobby tramite accesso diretto alla Commissione, chiedendo continuamente estensione di scadenze e revisione di rapporti e spendendo centinaia di migliaia di euro per diffondere l’idea che gli obiettivi della Commissione sono irrealistici, stanno minando la nuova politica prima ancora che si traduca in direttive e obblighi”, dicono dall’Osservatorio. Infine, va evidenziato come in questa battaglia la Germania appoggi le grandi lobby.

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